La legalità non è solo una questione di lotta alla mafia e alle grandi organizzazioni criminali. È un principio, una componente essenziale del vivere civile e della crescita di una comunità, sia essa locale, regionale, nazionale. Non ha un ambito specifico, semplicemente perché si applica (o dovrebbe applicarsi) ad ogni settore della società, dall’educazione al lavoro. Il lavoro, appunto, una leva su cui troppo spesso, in questo Paese, si esercita la pressione indebita del malaffare, tra clientelismo, scambi poco ortodossi, sfruttamento, raccomandazioni. Un ambito su cui lo Stato dovrebbe vigilare, garantendo, almeno nei meccanismi selettivi di accesso, trasparenza e linearità. Dare il buon esempio, questo dovrebbe essere il principio ispiratore di uno Stato nei confronti del suo popolo. A volte ci riesce, molte altre no. Quando non ci riesce, accade spesso che, chi ne paga le conseguenze (i cittadini), non protesti più di tanto, non reagisca, lasci cadere le cose, probabilmente perché sfiducia e rassegnazione prevalgono. A Modena, la settimana scorsa, si è celebrato un cattivo esempio, a cui però è seguita una reazione, netta, forte, pronta adesso ad organizzarsi.

Presso il Dipartimento della facoltà d’Ingegneria della città emiliana era in programma il concorso per il TFA (Tirocinio formativo attivo) per la classe A033 valido per l’ammissione in ruolo come docente di tecnologia nelle scuole primarie e secondarie. Oltre 600 i partecipanti, giunti da varie parti d’Italia. Come in ogni prova concorsuale, si procede all’identificazione e ci si accomoda nelle postazioni apposite. Si aprono le buste, alla presenza di due testimoni sorteggiati tra i partecipanti, ma non ci sono opzioni tra cui scegliere: c’è un’unica busta con le stesse domande disposte però in ordine vario in base al foglio (tre disposizioni diverse). Un’anomalia che si sposa con un’altra: le buste contenenti il nome non erano provviste di banda adesiva e quindi impossibili da sigillare. Nonostante ciò, si procede, perché c’è una prova da fare, è il momento della verità per i concorsisti, dopo mesi di studio, sacrifici e, per molti, anche spese per raggiungere Modena e soggiornarvi.

I fogli vengono distribuiti e i candidati visionano le domande. Sconcerto. Caos. I quesiti riguardavano principalmente materie non attinenti il programma ministeriale della classe di concorso oggetto di esame.  I candidati non ci stanno, protestano, chiedono spiegazioni alla commissione d’esame e reclamano l’annullamento della prova. La commissione si rifiuta e intima il proseguimento della sessione. In molti decidono di non mollare, di difendere il principio di un regolare svolgimento del concorso. Così raccolgono firme e avvisano i carabinieri. Nel frattempo altri concludono la prova, consegnando la propria busta regolarmente ma facendo mettere a verbale la propria richiesta di annullamento dell’esame. Uno scontro duro che ha acceso le polemiche tra il rettore dell’Università di Modena, Aldo Tomasi, e i candidati. Il primo parla di intimidazioni subite dai docenti della commissione e contesta la scelta di intralciare chi aveva deciso di svolgere regolarmente la prova, insinuando che la protesta derivasse non tanto “dalla difficoltà dei quesiti” quanto da “una precisa volontà perseguita da una parte dei candidati di fare annullare la prova”.

I candidati, dal canto loro, si difendono smentendo qualsiasi forma di intimidazione (accusano piuttosto di essere stati offesi e insultati da alcuni membri della commissione) e si dicono decisi ad andare fino in fondo, riunendosi in una sorta di comitato spontaneo (di cui esiste anche il gruppo su facebook) e annunciando un’azione legale a tutela dei propri interessi. Oltre 200 di loro hanno, infatti, firmato un documento in cui, tra le altre cose, si risponde alle affermazioni del rettore Tomasi: “Alle commissioni – scrivono in una nota – è stato ripetutamente chiesto di verbalizzare l’impossibilità di portare avanti la prova, per la situazione che si era andata creando, ma questa si è ripetutamente rifiutata di ammettere lo stato delle cose. La volontà dei presenti, che hanno sostenuto 100 euro di costi di iscrizione, costi per trasferte e dedicato giorni, settimane, mesi di studio, non è mai stata quella di partecipare alla prova scritta per poterla invalidare, ma gareggiare in modo competitivo per svolgere il Tirocinio Formativo Attivo presso l’Università di Modena (pagando gli eventuali 2.500 euro di iscrizione)”.

“Stiamo inviando – prosegue la nota – in tutta Italia un comunicato stampa creato da centinaia di docenti che hanno partecipato al concorso a Modena. Molti di noi insegnano da dieci anni almeno, molti sono laureati e con dottorato, molti freschi di laurea. Tutti quindi già abilitati dallo Stato nella propria disciplina”. Tornando al fattore scatenante della protesta, Fernanda, una delle candidate, ci spiega nel dettaglio perché i quesiti proposti in sede d’esame non erano regolari: “Le domande erano fattibili sicuramente, ma non per la classe di concorso in questione, in cui non ci sono solo ingegneri e che prevede una conoscenza di base e trasversale a più discipline (7-8 macrosettori che ogni libro di tecnologia riporta nell’indice e che fanno capo alle lauree ammesse per la classe A033, che non comprende solo ingegneria). Se la commissione voleva porre, come ha fatto, quesiti di un livello di approfondimento diverso o di altra materia (statistica ad esempio), avrebbe dovuto indicare testi su cui studiare. In caso contrario ci si basa sui testi della materia. Non credo che una commissione possa pronunciarsi sulla preparazione di un candidato su una materia interrogandolo su un’altra!”.

Un altro candidato, Fabio, giovane siciliano, ci racconta il suo sbigottimento e l’amarezza di fronte a quanto avvenuto proprio nel momento conclusivo di un percorso di studi durato mesi, nella speranza di ottenere uno dei 35 posti previsti per il TFA: “Incredibile.  La prima cosa che ho pensato dopo aver girato il foglio della prova è di esser stato preso in giro. ‘Le solite cose all’italiana’, mi son detto. Quando mi sono guardato attorno ho visto che non era solo una mia impressione, ma quella di altre ottanta persone. Dopo i primi dissensi ci siamo resi conto che non era un caso isolato ad un aula, ma riguardava tutte le aule in cui si stava svolgendo il concorso. Non siamo una coalizione di pochi candidati, ‘una parte’, come ha dichiarato il rettore. Abbiamo raccolto centinaia di firme, ci sono state delle denunce ai carabinieri, ci sono centinaia di partecipanti che vogliono giustizia su quanto accaduto”.

Il fronte è compatto, a quanto pare, e deciso a ristabilire la legalità. Non un atto di forza, ma di giustizia, che accomunerebbe la quasi totalità dei partecipanti: “Sono rimasto molto colpito – conclude Fabio – da una candidata che mi ha detto: ‘Io sono tra coloro che ha finito la prova, rispondendo alla maggior parte delle domande, ma credo che sia giusto andare avanti con un’azione legale, perché hanno sbagliato’. Parole che farei leggere al rettore, parole che dimostrano tutta la rabbia di centinaia di professionisti precari che hanno speso soldi, tempo e salute. E ci hanno creduto. Hanno creduto al Tirocinio Formativo Attivo come mezzo utile e come possibilità di mettere un tassello in più alla loro carriera”.

Intanto, nei fogli protocollo rinchiusi nelle buste – annunciano i firmatari della nota del comitato di partecipanti – si trovano “verbali firmati singolarmente”. In buona parte di essi si trovano scritte “le stesse motivazioni che hanno portato a questa generalizzata rivolta. In alcune aule è stato redatto un verbale anche da parte della commissione su input dei concorsisti. Le firme sono state raccolte per la richiesta di invalidazione del concorso e sono state presentate alla Questura di Modena la sera stessa del 21 settembre”. Vedremo come si concluderà questa brutta storia, la solita storia di gente che, con sacrificio, cerca di costruire un proprio futuro e finisce con il rimetterci. Forse però, a pensarci bene, questa storia qualcosa di nuovo e bello ce l’ha: la reazione compatta di chi ne ha subito le conseguenze, l’assoluto rifiuto di una rassegnazione che, troppo spesso, nasconde i diritti nel silenzio definitivo di una impietosa solitudine.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org