Fate incetta di bombole d’ossigeno e mascherine: in Italia respirare è pericoloso! Non dovrebbero destare troppa sorpresa i dati del recentissimo rapporto 2012 dell’AEA (Agenzia per l’Ambiente dell’Unione Europea) sul raggiungimento degli obiettivi fissati in materia sanitaria ed ambientale. Un’analisi dalla quale è emerso che l’Italia è tra le ultime d’Europa per la qualità della propria aria. Lo studio (che si riferisce agli anni dal 2001 al 2010) ha infatti rilevato che il nostro Stivale è riuscito ad accumulare nel tempo moltissimi primati (in negativo): è l’unico Paese in tutta Europa ad aver sforato i limiti previsti per le emissioni di monossido di carbonio,  ha avuto i valori più alti di particolato nelle zone rurali, ha superato più spesso degli altri Stati il limite stabilito per le emissioni annuali di PM10 ed ha superato anche quello previsto per le polveri sottili PM2.5. Una situazione decisamente allarmante, soprattutto per i suoi risvolti in termini di salute. Resi noti i risultati degli studi ambientali, la direttrice esecutiva dell’AEA, Jacqueline McGlade, ha manifestato la propria preoccupazione per le condizioni in cui versa l’Italia, in particolar modo alcune città settentrionali quali Milano, Novara e Bergamo, attribuendole “alla topografia della regione, ma anche al fatto che l’Italia è un crocevia per le masse d’aria generate dai trasporti a lungo raggio a Est”.

“Penso – ha dichiarato la McGlade – che questo comporti la responsabilità di controllare a dovere le emissioni industriali e la necessità di interventi per piani urbani, trasporti locali, trasporto merci e ferrovie”. Interventi non più rimandabili posto che, come ha ricordato la direttrice, “i cittadini europei pagano in termini di salute circa fra i 200 e 300 euro l’anno, a causa degli impianti industriali”, ragion per cui la prevenzione diviene fondamentale,  “soprattutto in Italia, dove c’è una popolazione che invecchia, quindi particolarmente vulnerabile agli inquinanti”. Purtroppo però i nostri amministratori sembrano non avere le medesime preoccupazioni. Emblematica è la vicenda di Taranto, una tragedia che continua a consumarsi ed alla quale non si dà alcuna soluzione concreta. Malgrado ormai moltissimi studi dimostrino che a Taranto ci si ammala e si muore molto di più (da un’analisi è addirittura emerso che nelle zone più vicine all’area industriale si registra un eccesso di ricoveri ospedalieri che va dal 20% al 400%) i potenti restano paralizzati, incapaci di scegliere tra diritto alla salute e diritto al lavoro.

Sembra che di Taranto si preoccupino solo i tarantini e Patrizia Todisco, il gip che ha avuto il coraggio di sbloccare la criminale inerzia delle istituzioni, disponendo la chiusura di parte dell’acciaieria. Così, mentre i media nazionali hanno nuovamente abbandonato l’argomento per trattare tematiche più importanti (il pulcino pio per dirne una), la città continua ad essere spaccata in due tra fronte operaio, impegnato in manifestazioni di protesta per riavere il proprio lavoro, e semplici cittadini spaventati per la propria salute. Il clima sociale si è fatto ancor più teso in seguito alla decisione della Todisco di respingere il Piano di risanamento da 400 milioni di euro presentato dal presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, per mettere a norma lo stabilimento e per l’abbattimento delle emissioni inquinanti. “Non c’è spazio – così ha motivato la propria decisione il giudice – per proposte al ribasso da parte dell’Ilva circa gli interventi da svolgere e le somme da impegnare. I beni in gioco, salute, vita e ambiente e anche il diritto ad un lavoro dignitoso, non ammettono mercanteggiamenti”. Il giudice Todisco ha inoltre fatto presente che buona parte delle misure contenute nel piano di risanamento bocciato erano già state previste in due atti di intesa del 2003 e del 2004 con le amministrazioni locali e avrebbero dunque dovuto essere già state realizzate.

Cataldo Ranieri, un dipendente Ilva, ha dichiarato di voler sapere dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, e dall’ex presidente dell’Ilva, Riva, quanto valgono la vita sua e dei suoi figli. “Noi non siamo contro la magistratura – ha spiegato – vogliamo che lo Stato ci dia risorse per fare acciaio pulito come accade nel resto d’Europa, e non bastano 400 milioni di euro”. “Non siamo noi di certo a volere la chiusura dello stabilimento – ha continuato Ranieri – è Riva che vuole la chiusura se non mette i soldi. Non mette i soldi per far sì che i nostri colleghi, che noi tutti, non si muoia a 50 anni: ogni giorno noi qui, vediamo davanti alla fabbrica manifesti listati a lutto. Questo è giusto?”.  Taranto è solo un esempio dell’Italia inquinata impunemente da imprenditori sciagurati e senza coscienza. L’Italia è purtroppo piena di tante “piccole Taranto” (basti pensare al polo industriale Priolo-Melilli-Augusta o a Milazzo), realtà che presentano problematiche molto simili ma che, a causa di una maggiore inerzia degli abitanti, sono taciute dai media nazionali ed ignorate da amministratori nazionali e locali. Nessuna sorpresa dunque se la qualità della nostra aria è pessima, eppure  leggere questi dati ci lascia decisamente con l’amaro in bocca (e con il veleno nei polmoni).

Anna Serrapelle- ilmegafono.org