I Mumford and Sons sono un gruppo londinese formatosi nel 2007. All’attivo hanno tre EP e un album, “Sigh no more”, pubblicato nel 2009 con la Island Records (per capirci quella di Bon Jovi e degli U2, per citarne solo un paio). Per capire perché hanno catturato la nostra attenzione, prima di continuare a leggere ascoltatevi Winter winds (e fatelo durare un po’ questo caffè…). Fatto? Come vi sarete accorti le loro sonorità non sono usuali e i loro corpi robusti e le barbe lunghe non si addicono molto a questi tempi eccessivamente skinny. Il loro è infatti un folk che dalle nostre parti non si sente. E per forza, perché è una musica che sa di whiskey, di pub, di ragazzoni rugbisti, del ventre caldo della umida Inghilterra. Ed è per questo che ci piacciono.
Riprendete Winter winds. L’attacco è già strepitoso: “As the winter winds litter London with lonely hearts. Oh the warmth in your eyes swept me into your arms was it love or fear of the cold that led us through the night?” (trad: “Quando i venti invernali scompigliano Londra con cuori solitari, oh il calore nei tuoi occhi mi ha buttato tra le tue braccia. Era amore o paura del freddo quello che ci ha guidati quella notte?”). Quel tono solenne, metà da inno nazionale, metà da canzone popolare è forse la chiave di volta di questo gruppo. È proprio nel loro canto così profondo, sentito (a squarciagola come nel video o sussurrato attraverso il microfono) che c’è la genuinità di questi quattro britannici. Unici come la terra che li ha partoriti, essi urlano al vento, alle intemperie e si rifugiano nel calore umano.
Temi ancestrali adatti a un posto spazzato dai venti, avamposto umano in mezzo al nord del mondo. E allora è così che possiamo comprendere anche Below my feet, più ballata e più lenta. La canzone di un ubriaco, forse, e proprio per questo sincera. Può darsi che i Mumford and Sons siano un fuoco di paglia. Ma il loro disco di platino, le nomination ai Grammy Awards, le posizioni in classifica raggiunte dal loro album sembrano affermare il contrario. Certo, forse hanno bisogno di tempo, il loro stile sicuro non si sposa con i ritmi serrati della discografia odierna. Il Tempo quello vero, che profuma di fieno e campagna e pubs, ha altri ritmi. Non bastano click, trasferimenti, corse. Ci vogliono attrezzi rustici per forgiare i brani dei Mumford and Sons, che, come una piccola impresa familiare, forgiano, non producono. Buon ascolto.
Penna Bianca –ilmegafono.org
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