Un nuovo album di Vasco Brondi, alias Le luci della centrale elettrica, non poteva non uscire in questa fine di autunno. Dopo Un campo lungo cinematografico, scritta per il lungometraggio “Ruggine”, arriva una manciata di canzoni. Sei in tutto, di cui una inedita. E proprio dalla title track, Ci eravamo abbastanza amati, che ci piace partire per descrivere l’evoluzione che sta attraversando questo fantastico artista nostrano. Un lamento iniziale che fa subito entrare nel mood di questa canzone. Una storia finita, a cui si riguarda con un misto di rabbia e rimorso. Non tristezza fine a se stessa ma riflessione profonda, come in un sogno, dove le parole si mischiano apparentemente senza un senso.
Le connessioni paiono non esserci, ma la mattina quando ci si sveglia lo stato d’animo con cui scendiamo dal letto è la sintesi perfetta dei nostri pensieri. Come se Brondi desse una musica e delle parole alle nostre seghe mentali, ai nostri momenti solitari. Scrive infatti: “Mi hai detto solo così, solo con queste esplosioni possiamo creare quei soli che si vedono di notte in nord Europa, ma non c’ho mai capito un cazzo dei tuoi discorsi … e per scaldarci non ci basteranno le nostre mani, con gli occhi azzurri sempre più chiari almeno, alla fine, c’erano dei bellissimi cieli autunnali “. Un botta e risposta tra noi stessi e la voce dentro di noi.
Una dialettica tra ricordo (appassionato, caldo) e analisi del ricordo (fredda, tagliente, spietata) che procede per tutta la canzone. Ma di questo cd fanno parte anche quattro cover: Emilia Paranoica dei CCCP, Summer on a solitary beach di Battiato, Dolce di Bahia di De Gregori, Oceano Gomma degli Afterhours. Generi diversi che Brondi rende ancor più metropolitani. Un esercizio assai arduo se si considerano i capolavori di due maestri come De Gregori e Battiato. Le luci della centrale elettrica tastano il polso e umanizzano questi due capolavori. Geniale la versione di Summer on a solitary beach.
È come se ne svelasse un lato nascosto, ancora più profondo, sentito, forte, commovente quasi, che la versione di Battiato lascia solo intendere. L’incedere lentissimo e affaticato della voce di Brondi esalta questa caratteristica rendendola una delle migliori cover che ci siano passate dalle orecchie (e ci siano rimaste). Oltre alle cover troviamo anche la sopraccitata Un campo lungo cinematografico, Piromani e L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici. Il bello di questi brani è che Brondi colpisce allo stomaco e non se ne vergogna. Dice di scrivere spesso di sé, ma se la cicatrice che lascia ogni ascolto si forma anche sulla nostra pelle, allora vuol dire che parla ancora di noi. E lo fa con intelligenza, con cuore, sincerità e senza la pretesa di piacere.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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