Il capolinea ormai è vicino e dobbiamo prepararci a trovare riparo, perché il vagone viaggia spedito e senza freni verso una destinazione ignota. Il ventennio berlusconiano è giunto al termine, non tanto per questioni anagrafiche del suo protagonista principale, quanto per l’inettitudine e la pochezza di un uomo ostaggio di se stesso. Berlusconi si è infilato da solo in una rete strettissima da cui non potrà trovare vie d’uscita indolori, a meno di salvataggi estremi da parte dell’opposizione, che, ogni tanto, sembra mostrare ancora antiche ed imbarazzanti tentazioni. Il voto alla Camera con cui si è autorizzato l’arresto del deputato del Pdl, Papa, unito all’ignobile no della Lega al decreto sui rifiuti di Napoli, è solo l’ultima tappa di un percorso declinante che, con la sonora sconfitta alle scorse amministrative ed il risultato del referendum, si è tramutato in terremoto politico. Dentro la maggioranza di governo (a patto che ve ne sia ancora una), siamo alla resa dei conti.
Il premier sbraita, accusa, alza la voce, ma ormai non lo ascolta nessuno, nemmeno tra i suoi. Sembra sempre più debole, accerchiato, terrorizzato dai sondaggi e dalla sentenza sul lodo Mondadori, a tal punto da preferire una minore presenza mediatica, rimanendo in silenzio per molti giorni, mentre l’Italia era alle prese con il crollo dei mercati e con la pessima manovra del suo pessimo governo. Non ha più forza, non ha più seguito, è privo di potere contrattuale, perché ormai è sputtanato, nudo, bruciato. L’Italia non lo segue più, molti ex fedelissimi hanno pronta la scialuppa per salvarsi dalle acque torbide che hanno già invaso la nave. I pochi la cui lingua è ancora ben attaccata alle stringhe delle sue scarpe rialzate, sembrano di colpo aver perso voce e baldanza.
La Russa si è eclissato (pare sia tornato a raffigurare il Diavolo nei quaderni per il catechismo), Cicchitto è nervoso (e da vero macho prova a fare a botte con la Brambilla), Gasparri ha assunto lo status di “non pervenuto” (evitiamo facili battute sul paragone con le proprie facoltà cerebrali), il neosposo Brunetta non si è più ripreso da quando Tremonti ha rivelato quello che buona parte del Paese sospettava già. L’esercito del male ha assunto la fisionomia di un gruppo di scolaretti che gioca a nascondino con la sfrenata voglia di non farsi trovare per un po’, in attesa di un liberatore finale che, però, purtroppo per loro, zoppica ed è malconcio. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, potremmo dire.
Già, perché l’aver abbassato le braghe e la schiena dinnanzi alla Lega, accontentandone qualsiasi follia, qualsiasi turpe desiderio, ha portato Berlusconi ad un isolamento progressivo: prima Casini e poi un rinnovato Fini si sono sganciati proprio perché sdegnati dalla deriva autoritaria ed estremista di una maggioranza sempre più apertamente asservita a logiche personaliste ed illiberali, sempre più votata al disprezzo nei confronti delle regole sacre della democrazia e dei principi inviolabili di legalità. La scarsissima lungimiranza politica di un Comandante senza testa, accecato dalla propria tracotanza, abile a rigenerarsi politicamente solo grazie ai propri soldi e alla debolezza ed agli assist di un’opposizione addormentata e inconsistente, lo ha portato verso quella che sembra essere la porta di uscita. Difficile che questa volta riesca a salvarsi, anche perché oggi la gente è stanca, asfissiata da una situazione economica disastrosa, infuriata per l’assoluta sfrontatezza con cui la casta politica continua a difendere se stessa.
Gli italiani avevano bisogno di sentire il vuoto desolante farsi spazio nelle proprie tasche per decidere di non fidarsi più. Avevano bisogno di vedere meglio i segni delle lacrime sul volto dei propri figli strozzati da una disoccupazione inarrestabile, rispetto a cui il governo non ha risposto, preferendo impegnare le proprie giornate nella ricerca di cavilli e norme mirate a salvare il Capo dai guai giudiziari in cui si è andato a cacciare. E, infine, ci è voluto lo scandalo, la scoperta di un modo di vivere inaccettabile, fatto di istinti bavosi, perversioni, regali costosi (e nocivi per la serietà delle istituzioni), tutto mentre il resto del Paese annaspa, si affanna, resiste, si rimbocca le maniche, rivive il dramma dell’emigrazione. Il Caimano stavolta non ha più forza sufficiente per il colpo di coda. Non basta più pagare costose e “responsabili” meretrici politiche, perché ogni giorno in più sulla sua poltrona ha il sapore amaro di un’occupazione illegittima del potere.
La sua arroganza, la sua megalomania bifolca gli impedisce di comprendere che, forse, farsi da parte prima gli avrebbe permesso di mostrare un po’ di rispetto in più per il Paese e recuperare un minimo di dignità, soprattutto considerando che gli italiani hanno la memoria corta e, spesso, davanti ad un gesto normale ma inatteso dimenticano anche anni di comportamenti ed azioni deprecabili ed oltraggiose. Il problema, però, è che lui non ci pensa nemmeno a dimettersi, perché la sua ragione di vita non è governare il Paese per costruire una propria idea di nazione, ma semplicemente gestirlo a fini personali per realizzare il proprio utile.
Ma la festa è finita. Restano solo pochi invitati che si guardano tutti in cagnesco, perché tra loro c’è sempre qualcuno che può tradire. I sorrisi sono forzati e tesi, le strette di mano lievi: gli eunuchi, i menestrelli, i buffoni e le “ancelle” di corte hanno gi occhi tristi di un malinconico Pierrot, e non c’è plastica o chirurgia che possa nascondere lacrime e paure. La fine della corsa è ormai vicina. Il conducente promette ancora che in qualche modo arriverà a schiacciare il pedale del freno, ma c’è chi non si fida più e trema. Trema perché ha il terrore di non poter più scendere senza farsi male.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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