Guardare Milano dal basso, nel giorno della “grande lezione”, partoriva brividi di irrefrenabile euforia. Pensare di essere qui in questo momento, cittadino nuovo di una città che sto imparando a conoscere, proprio mentre la storia presenta il suo conto a chi vuol costringerla a retrocedere, somiglia a quella sensazione che si ha quando hai comprato per caso una schedina e scopri con lieta sorpresa di avere la combinazione vincente. Passeggiare sui Navigli lunedì sera, al tramonto, guardando i colori tenui di una bella serata primaverile, con quel senso di leggerezza di chi finalmente si è sentito liberato dal grigiore, mentre il telefono continuava a strillare le voci entusiaste di amici e familiari, era come passeggiare su una linea di confine, tra il passato ed il futuro, non solo di una città ma dell’intero Paese. I mostri sono stati colpiti, feriti, umiliati. Il fango uscito dalle loro bocche gli è scivolato addosso, macchiandoli in maniera forse indelebile, definitiva.
Il popolo è stanco e aspetta fuori chi da anni lo tiene in ostaggio: mentre questa classe politica, salve alcune rare eccezioni, si scontra mettendo in campo una tattica ad uomo, dove ad ogni mossa dell’uno segue la mossa dell’altro, con il risultato di rendere stagnante il dibattito attorno ad alcuni temi slegati dalle esigenze dei cittadini, il Paese sceglie e lo fa mandando un segnale chiarissimo. Una grande lezione democratica, che forse, se continuerà a certificare il declino dell’attuale sistema di potere, eviterà pericolose degenerazioni. Il popolo aspetta che i sequestratori della democrazia escano dai palazzi, a mani alzate, restituendo le istituzioni o quel che ne rimane. Se sapete contare meglio di Verdini o La Russa, potrete notare che non c’è stato alcun pareggio e che il 16 maggio in Italia è successo qualcosa che potrebbe diventare storia.
Non sono servite a nulla le bombe al fango e veleno, le aggressioni alle istituzioni, le volgarità, le folli cifre spese: quel che resta del centrodestra italiano si è sfaldato sotto i gentili colpi di matita che hanno impresso in una scheda colorata una evidente e precisa volontà di svolta. Milano ha detto basta, proprio nel feudo del Caimano, rimasto ammutolito per giorni, nervoso, furioso, bastonato, spaventato. Crolla il potere sotto i suoi piedi e i colpi di coda di un tempo sembrano non funzionare più. Le facce da funerale della Moratti, di La Russa, Capezzone, Lupi, Calderoli non le dimenticheremo mai e, probabilmente, non sarà l’ultima volta che le vedremo. I ballottaggi a Napoli e Milano potrebbero decretare il cappotto, vale a dire 4 su 4 per il centrosinistra in quei comuni attorno a cui il Caimano aveva giocato la sua partita di misurazione del consenso. Un consenso che, proprio nella sua città, nonostante le ignobili strategie e persino le lettere politico-calcistiche inviate ai tifosi milanisti, si è dimezzato miseramente.
Pisapia ha vinto e con lui tutta quella massa di persone, di menti e di cuori che hanno investito energie, speranze, tempo libero per convincere la gente che il miracolo era possibile, per cacciare via da palazzo Marino uno dei peggiori sindaci nella storia di questa città. Adesso c’è ancora da compiere un ultimo sforzo, ma la sensazione è che, anche se ci sarà chi metterà in campo nuovi colpi di scena a base di fango e veleno, utilizzando magari giornali di famiglia o altri di area moderata, la città abbia già scelto e lo ribadirà. Così come a Napoli la sensazione è che se il Pd deciderà davvero, con convinzione, di appoggiare De Magistris, il capoluogo campano possa iniziare a scrivere un’altra storia. Cambiamento? Troppo presto per parlarne e forse bisognerebbe andarci cauti con certi termini.
Di sicuro siamo di fronte ad una chiara inversione di tendenza, da parte di un elettorato che è stanco di assistere ad una contesa politica che si svolge lontano mille miglia dalle reali e quotidiane istanze, che sono sociali, economiche e culturali. Speriamo davvero che ciò porti poi ad una virata convinta verso il futuro, ad un cambiamento e non ad una semplice sostituzione che riproponga poi gli stessi vizi, le stesse debolezze di questi tristi 20 anni di cattiva politica. Non può essere più solo una questione di naturale alternanza. Questo è ciò che i partiti di opposizione debbono capire. La sfida più grande ed ardua. Non è questo il momento per puntare il dito sugli errori che, anche in questo appuntamento elettorale, il Pd ha commesso, però è chiaro che bisogna aprire una riflessione e lasciar esprimere, ascoltare chi davvero pensa ad un cambiamento non partitico o politico, ma globale, sociale, culturale.
Vendola e De Magistris sono i veri vincitori di queste elezioni. Hanno parlato alla gente, hanno rappresentato un’alternativa vera. Vendola poi ha fatto capire quanto l’Italia, nel suo tessuto connettivo, sia meno bigotta di come appaia. Le parole che arrivano al cuore, che toccano i problemi concreti, che non puzzano di moderazione e di odioso “maanchismo”, che prendono posizione senza dover chiedere perdono del proprio pensiero che è e deve essere libero anche in politica: tutto ciò la gente sembra averlo capito. Ora tocca a chi ne raccoglie il mandato convincersi che non è più il tempo dell’immobilismo e dei piccoli passi. Questo è il tempo della mobilitazione a tutti i livelli, il tempo di rimettere al centro dell’azione politica l’essere umano e la cultura, i valori più profondi, l’etica, il tempo di avere leader che sappiano prendere in mano il Paese, percepirne in anticipo i bisogni, decidere con chiarezza e senza compromessi di stare dalla parte giusta.
Passare il tempo a festeggiare e a rivendicare riporterebbe non solo l’opposizione, ma l’intera nazione nel baratro di un infernale balletto, già visto e rivisto troppe volte in questi anni, con la triste conseguenza, tra l’altro, di veder crescere ancora il popolo di Grillo, rispettabilissimo ed utilissimo a livello locale, specialmente su certi temi, ma spesso troppo grezzo e qualunquista sul piano dei grandi contenuti e del progetto politico. Non è più il tempo di lasciare che l’Italia navighi in mari mossi e anneriti di tempesta, senza timonieri e con a bordo una ciurma di marinai ubriachi che saltella da una parte all’altra cantando sempre gli stessi stornelli. È il tempo, semmai, di prendere in mano il timone, svegliare gli ubriachi e lasciare che con mente lucida riescano a vedere bene il sole al di là dell’orizzonte.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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