“C′è anche un Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose. (…) È faticosamente uscito dalla povertà mediante il lavoro assiduo, tutto afferrando e accettando, con accorgimento e ardire, come fanno quelli che non vogliono rimanere sotto per timidezza e pusillanimità. (…)
Per giunta, accanto al buon grano c’è l’erbaccia: infatti, egli non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato un paio di settimane se ne va a spasso per un mese o due, con la spada al fianco e un servo dietro a sé, e gira da un gioco di palla all’altro, sempre pronto ad attaccare briga e ad azzuffarsi, tanto che è raro che lo si possa frequentare. Tutto ciò non assomiglia troppo alla nostra professione, ché Marte e Minerva non sono mai stati troppo amici. Nonostante questo, la sua pittura è fuori discussione: essa è condotta con grande eleganza, piace molto, ed è meravigliosamente adatta a costituire un esempio per i giovani pittori” (K. van Mander, Het Schilderboek, 1604).
Anche in Sicilia, e in particolare a Siracusa, Michelangelo Merisi da Caravaggio ha lasciato opere ed epigoni. Essi, per quanto degni di essere ricordati, non hanno mai raggiunto la sublime poetica del Maestro, tutta derivata dalla verità e dalla rappresentazione oggettiva del mondo, e tanto bella e rispondente al vero quanto complessa e inimitabile. Mentre le opere di Michelangelo descrivono una scena reale, che si ripete e si attualizza semplicemente osservandola, come in una rappresentazione teatrale, aderente al fatto storico, che replica continuamente per il suo pubblico, le opere dei suoi discepoli, e in particolare del suo caro Mario Minniti, sono carenti di forza espressiva, i movimenti dei personaggi sono innaturali e goffi e la luce non ha una provenienza definibile, è innaturale e colpisce solo alcuni di essi.
Tutto ciò dà all’osservatore una sgradevole sensazione di smarrimento. I quadri di Caravaggio coinvolgono, quelli dei suoi epigoni e discepoli smarriscono. Lo stesso Rubens approcciandosi alla poetica caravaggesca trovava difficoltà a concretizzare sulla tela gli stessi effetti ottici. I quadri del Merisi sono scuri ma luminosi, le figure emergono dalla notte come se aspettassero solo di essere illuminate dagli occhi dello spettatore, che gode della grazia e della naturalezza della scena che sta osservando. Caravaggio si può definire il primo vero maestro di fotografia, un compositore dell’immagine che riprendeva la vita quotidiana, fermata eternamente sulla tela. Egli poneva tutti i suoi personaggi sullo stesso livello, dando all’osservatore la possibilità di emozionarsi e sentirsi parte della scena; come se chi osserva debba farsi largo tra i personaggi che affollano i suoi quadri per vedere meglio cosa stia succedendo.
Questa sensazione è forte di fronte al seppellimento di Santa Lucia, quadro crudo e angosciante, in cui una folla triste si intravede dietro due colossi, abbigliati all’antica, che scavano a testa bassa, protagonisti muti e testimoni ignari della scena. Guardando bene, al di là dei due colossi che preparano la fossa contestualizzando la scena, si vedono: donne piangenti, giovani assorti nel dolore e nella contemplazione, soldati, un vescovo benedicente. Il movimento della mano di quest’ultimo sembra accompagnare gli sguardi degli astanti verso il basso, accentrando il punto di vista, con un gesto semicircolare, sul giovane ammantato di rosso. Questo personaggio crea curiosità nell’osservatore.
Chi ammira la tela guarda lì dove lui guarda e, d’un tratto, scopre la crudele verità del terribile evento, una donna, distesa per terra, che non dorme, non è svenuta, ma è morta, devastata dall’ignoranza dell’uomo. La scena si svolge in un antro, un luogo scuro e oscuro allo stesso tempo, il luogo ideale in cui ambientare un suo quadro. Caravaggio aveva appena realizzato, a Malta, una scena alla luce del giorno, la Decollazione del Battista, in cui l’oscurità della sua anima trapela dall’unico segno della sua esistenza, la sua unica firma, il sangue del Battista.
A Siracusa, è tornato nei suoi spazi scuri, gli interni, i cunicoli, le catacombe di cui Siracusa è piena e dove facilmente un uomo può trovare rifugio. Caravaggio senza l’oscurità non era Caravaggio, non poteva rappresentare la sua luce, il suo mondo di taverne notturne dove era abituato a vivere, i suoi personaggi che tanto lo ispiravano quando erano veri e popolani e quindi pieni di quei segni che solcano il volto e la vita di un uomo. In questi cunicoli, probabilmente le Catacombe di Santa Lucia, si rifugiò e dipinse questa enorme tela che oggi potete ammirare, anche se decontestualizzata, nella chiesa di Santa Lucia alla Badia in piazza Duomo.
Nei prossimi numeri del Megafono vi mostreremo gli effetti della pittura del Caravaggio, la sua influenza sui pittori del suo tempo e vi porteremo alla scoperta delle opere presenti nelle chiese di Siracusa. Una passeggiata per siracusani, ma anche un invito a chi non lo è a visitare Siracusa e a scoprire tutte le sue ricchezze.
Angelo De Grande -ilmegafono.org
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