Che l’Italia sia il paese delle contraddizioni è risaputo. Saranno quindici anni che si coltiva l’esaltazione dei contrari in questa terra di santi senza aureola e navigatori senza navi. Fra predicatori che vanno a puttane e poveri col conto in Svizzera, la testa neanche gira più: il senso della realtà fa le capriole senza dartelo a capire. Così passano quasi sottobanco le notizie da lasciarti a bocca aperta, quelle che magari un tempo si prendevano quattro colonne in terza pagina, con approfondimenti, interviste scomode, querele e sale e pepe. Succede quindi che, se a Messina qualcuno si prende l’impegno di dar da mangiare ai bambini, e questo qualcuno è lo stesso che negli stessi giorni in cui prende l’impegno si vede appioppare una condanna perché in passato, nel cercare di ottenere un servizio tale e quale, aveva giocato sporco, con tanto di sospetti di aver fatto rischiare la vita a centinaia di bambini, a Bari, dandogli da mangiare l’immondizia, nessuno dica nulla.

È il paese delle libertà, e in mezzo ci si mette quella di non dire troppo e di non dire forte. È sempre meglio provare a urlare, però. Il 20 ottobre, l’ufficio stampa del Comune di Messina dirama il comunicato n. 1925 nel quale spiega che “è stato aggiudicato il servizio di mensa scolastica per le scuole materne, elementari e medie inferiori della città”, e che ad aggiudicarselo è stata la ditta “La Cascina Global Service S.r.l.”. Fino a qui niente di strano: come previsto dal bando di gara che ha in oggetto il servizio di refezione scolastica per “ottobre 2010-maggio 2011” e “ottobre 2011-maggio 2012” (263 giorni in tutto), si è tenuta una gara con procedura aperta alla quale hanno partecipato ditte coi documenti in regola e coscienti del fatto che ad essere accettate sarebbero state “soltanto offerte in ribasso”. La cosa strana, però, sta nel ribasso: “La Cascina” s’è aggiudicata il servizio tirando giù il prezzo “del 20,20 per cento rispetto all’importo a base d’asta di 3.425.312,00 euro”.

Accipicchia. Solo un altro era il concorrente (dato che in due avevano superato le verifiche per partecipare), cioè la ditta “Gemeas” (che aveva già gestito il servizio), che però s’era limitata a un 2,46 per cento in meno, che diviene pallido pallido di fronte al numerone della “Cascina”. In ogni caso si potrebbe soprassedere pure su questo: non è detto mica che un prezzo basso sia sinonimo di bassa qualità. O no? Già, perché proprio di questi giorni è la notizia che la stessa “Cascina” si è vista infliggere 17 condanne per reclusione (pene comprese tra i sei mesi e i due anni e mezzo) per truffa e frode nelle pubbliche forniture. Pare che questa società cooperativa, con sede a Roma, nel 2003 finì nel mirino dei magistrati della Procura di Bari, che all’epoca emisero dei provvedimenti restrittivi a seguito di un’inchiesta nata da denunce che parlavano di scarafaggi nella verdura, larve di mosca nelle confezioni di tonno, hamburger “bovini” fatti di indecifrabili tipi di carni diverse, latte magro zeppo di coliformi fecali, calamari indiani dentro cartoni senza alcuna indicazione…

Il tutto confezionato per ospedali e scuole di Bari a partire dal 1999. I pm parlarono anche di milioni di euro di appalti aggiudicati producendo autocertificazioni false che attestavano il pagamento di contributi previdenziali e assistenziali, tasse e imposte, e qualche giorno fa il giudice monocratico del tribunale di Bari, Maria Mitola, ha elencato le 17 condanne proprio per truffa: carcere più un risarcimento dei danni morali e materiali (da quantificare in sede civile) al Comune di Bari (che aveva chiesto 500.000 euro), ad Asl, Adisu, Codacons, Adoc e Federconsumatori (che si erano costituiti parte civile). Salvatore Menolascina ed Emilio Roussier Fusco, all’epoca dei fatti amministratore di fatto e responsabile commerciale della sede di Bari de “La Cascina”, si sono beccati le pene più severe, seguiti a ruota dai dirigenti Gabriele Scotti e Ivan Perrone e dai fornitori della cooperativa, Luigi Partipilo e Rosario Mastrangelo.

Proprio quest’ultimo, nelle intercettazioni telefoniche (15.000 ore) appariva il più preoccupato sotto il punto di vista burocratico, ammonendo i compari per una carente documentazione fiscale che rischiava di smascherare la triangolazione nell’acquisto di roba scadente con un’altra società, la “Cater”: «La “Cascina” è la cassaforte – diceva – mentre la “Cater” è una scatola vuota: non c’è niente». Le stesse intercettazioni rivelavano l’animo gentile di chi si rendeva conto che quella roba non la mangiavano «neppure i leoni dello zoo-safari». Insomma: pare sapessero quello che facevano e pare pure che dove arrivavano mettevano le tende. Dalle intercettazioni emerse che anche l’ex presidente dell’Inter, Ernesto Pellegrini, era a conoscenza del potere territoriale della cooperativa, dato che in una telefonata relativa a un appalto per l’ospedale di Tivoli si rivolgeva così a Menolascina: «La città di Bari è una cosa vostra, vero?». E l’altro: «La gestiamo da dieci anni». E Pellegrini: «Ecco, chiaro no? Quindi è inutile che io partecipi, no? È chiaro?». Chiaro.

“La Cascina” arriva un po’ dovunque. Salta dal Lazio alla Puglia, dalla Puglia alla Calabria. Nel registro dei Decreti dei dirigenti della Regione Calabria del 5 ottobre scorso c’è un’autorizzazione per la prima concessione in deroga della Cig per i lavoratori de “La Cascina Global Service”, quegli stessi lavoratori per i quali Menolascina nelle intercettazioni proponeva idee del tipo: «Non paghiamo gli stipendi e buttiamo fuori chi contesta: se no qua ci salta tutto e dobbiamo trovarci tutti un altro mestiere». E già, i contributi erano un bel problema. E adesso ecco il salto più giù, in Sicilia, nelle scuole di Messina, le stesse che un anno fa combattevano col fango, che però di truffa non puoi accusare. A onor del vero, però, il dito non lo si può puntare sulla base del passato. La burocrazia non te lo permette. Più o meno.

Un ribasso del 20 per cento qualche dubbio per forza di cose se lo porta appresso, e il dirigente Salvatore De Francesco si prende il tempo che serve: «Se non avessimo avuto dei dubbi, il servizio mensa entro due-tre giorni sarebbe partito come ogni anno – spiega -. Ma vogliamo fugare ogni dubbio, e per questo abbiamo chiesto alla ditta, come prevede la legge, delle giustificazioni per tale ribasso. Non abbiamo fatto i conti alla precisione, ma si tratterebbe di un’offerta che prevede poco più di tre euro a pasto». Lo stesso comunicato stampa del Comune di Messina usa il termine “provvisoriamente” in merito all’aggiudicazione del servizio, chiarendo: “fatti salvi i controlli di legge”. Già, la legge. A saperle, queste cose, viene in mente la vecchissima frase di tal Geremia, profeta: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”, scriveva nel suo libro. Profezie.

Sebastiano Ambra -ilmegafono.org