Correvano i primissimi anni ‘90 quando un gruppo di magistrati coraggiosi iniziò a indagare sulla fortissima rete di corruzione e tangenti intrattenuta tra soggetti apicali dei partiti politici e delle istituzioni italiane. Quel filone di indagini, che prende il nome di “Mani pulite”, sconvolse moltissimo l’opinione pubblica e tutto il mondo politico, stravolse assetti profondamente consolidati, mandandoli in crisi, e determinò la nascita della cosiddetta “seconda Repubblica”. Ci si illuse, almeno per i primi tempi, di aver sconfitto un cancro che stava divorando il Bel Paese. Ben presto, però, ci si accorse che la corruzione era stata tutt’altro che debellata: evidentemente il male aveva già sviluppato “metastasi” che, purtroppo, non hanno tardato a manifestarsi.

Questa recrudescenza dell’impatto deleterio della corruzione su molteplici assetti della vita pubblica italiana è avvenuta (neanche troppo lentamente) sotto gli occhi indifferenti della maggioranza. Il silenzio è stato recentemente rotto da Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e membro dello storico “pool mani pulite”. Egli, durante un’intervista, ha reso dichiarazioni molto forti  su questo argomento delicato: “I politici – ha affermato il magistrato – non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto”.

Davigo ha poi aggiunto che, a suo avviso, la situazione rispetto agli anni di Mani pulite è peggiore e che si può affermare che in Italia hanno vinto i corrotti e che questa situazione deriva dal fatto che “dovemmo interrompere la cura a metà” quando ancora “avevamo preso le zebre lente, ma le altre zebre erano diventate più veloci. Avevamo creato ceppi resistenti all’antibiotico”. Nell’individuare i responsabili di questo freno nella lotta alla corruzione, il presidente dell’Anm non ha fatto sconti a nessuno e ha dichiarato: “Cominciò Berlusconi, con il decreto Biondi, ma nell’alternanza tra i due schieramenti, l’unica differenza fu che la destra le fece così grosse e così male che non hanno funzionato; la sinistra le fece in modo mirato. Non dico che ci abbiano messi in ginocchio, ma un po’ genuflessi sì”.

Da queste forti accuse non si è salvato neanche l’attuale governo che, a detta del magistrato, “fa le stesse cose: aumenta le soglie di rilevanza penale e aumenta la circolazione dei contanti”. Davigo, in occasione di una lectio magistralis organizzata dall’Università di Pisa lo scorso 22 aprile, ha inoltre affermato che  “la classe dirigente di questo Paese, quando delinque, fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi”. Dichiarazioni troppo forti e scomode perché potessero passare inosservate. Quasi tutto il mondo politico gli si è scagliato contro (qualcuno con dichiarazioni assurde del tipo “i magistrati devono parlare con le sentenze”) e anche tra i colleghi magistrati non è mancato chi abbia preferito prendere le distanze dalle sue accuse. 

Qualcuno ha accusato Davigo di peccare di troppo autoreferenzialismo e di essere convinto di essere l’unico a poter risolvere i problemi, oltre a criticare la semplificazione tra buoni e cattivi, con i primi attribuiti solo alla magistratura, i secondi solo alla politica. Diametralmente opposta la reazione di Nino Di Matteo,  il pm titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, che ha definito le parole di Piercamillo Davigo “chiare e coraggiose”. “Mafia e corruzione – ha aggiunto Di Matteo – sono ormai facce della stessa medaglia, ma mentre i boss sono adeguatamente puniti, i corrotti che vanno a braccetto con i padrini sono garantiti da una sostanziale impunità dalla politica. Nei pochi casi in cui si riesce ad acquisire la prova di quei fatti di reato, tutti gli sforzi vengono mortificati dal sistema della prescrizione, che non si riesce a riformare”.

Secondo Di Matteo, nella lotta alla corruzione la politica “si è dimostrata del tutto incapace di reagire, punendo con meccanismi di responsabilità interna coloro che cercano i mafiosi. È molto più facile attaccare i magistrati”. E intanto, mentre la magistratura viene attaccata, delegittimata, talvolta imbavagliata, la corruzione continua a crescere rigogliosa. C’era una volta tangentopoli e, purtroppo, c’è ancora.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org