Forse, come qualcuno ha scritto, sarebbe stato più giusto se fosse andato a trovare anche i migranti sbarcati sull’isola poche ore prima del suo arrivo, per parlare da povero in mezzo ai poveri. Di sicuro, al di là di qualche piccolo appunto, la visita di Papa Francesco a Lampedusa è stata importantissima, perché ha dato un segnale enorme. A tutti. Alla Chiesa e al mondo, alla gente e alla politica. Un atto rivoluzionario, quantomeno per la tempistica e per la forma, per i gesti e per le parole (bellissime e attese da anni). Il problema, adesso, è capire quanti hanno davvero compreso e quanto tempo ci impiegherà l’Italia (perché probabilmente lo farà) a dimenticare quel messaggio, quella dimostrazione di umiltà solidale, l’ammissione di responsabilità che nobilita l’esistenza e la dignità di un uomo, che si tratti di un pontefice, di un ministro o di un pescatore.

La responsabilità, proprio così, qualcosa da ricercare nell’umido di una coscienza umana che annaspa nella palude della “globalizzazione dell’indifferenza”, come l’ha giustamente definita Francesco. Quella corona gettata nel mare, per chiedere scusa, per non dimenticare, sembrava un sasso, un macigno resistente al tempo e all’oblio, sopra al quale la memoria ha cominciato a urlare, emettendo un suono strano, angosciante, perché pieno di un dolore che trema di rabbia, di una stanchezza robusta che si regge in piedi soltanto grazie alla voglia e alla speranza di vedere, un giorno, un po’ di giustizia. Quella corona ha aperto in due il mare e ha spazzato le onde che coprivano la riva, dove i responsabili si nascondevano. Li ha costretti a uscire allo scoperto e non ci ha messo tanto a far rimbombare le loro voci stolte, infami, volgari.

Voci che hanno gracchiato sull’udito di una nazione, sospinte dalle pagine scritte da pennivendoli asserviti con cui da anni dividono pane e sangue, compagni di merenda della consapevolezza, della scientifica strategia di eliminazione, di epurazione di un nemico che non aveva né armi né intenzioni bellicose. Un nemico costruito per anni, disegnato con cura, edificato pezzo per pezzo, tratto per tratto. Riconoscibile sulla base di elementi comuni e stereotipi sinistri, banalizzati in modo da essere immediatamente percepiti dalle menti rozze e drogate di buona parte dei cittadini italiani. Un nemico di cui oggi il Papa ha finalmente negato l’esistenza, dando forza a migliaia di persone che da anni combattono contro l’ignobile fabbrica di falsi nemici.

Su quel legno bagnato a forma di barca con cui centinaia di esseri umani, ammassati, si spostano ogni giorno per varcare i confini invisibili del mare e della speranza, non ci sono criminali, né mercenari in viaggio verso la guerra contro l’Occidente, ma solo disperati, uomini, donne, bambini, giovani in fuga dalla guerra e dalla violenza, dalla fame e dalla miseria. Rispetto a quella disperazione che li spinge, siamo tutti responsabili. Ma qualcuno lo è di più. Quella corona di fiori ha dato fastidio, ha irritato, ha costretto gli aguzzini che si nascondevano sulla riva, dietro le onde che proteggono l’Italia, a difendersi senza essere mai stati nominati. Sciocchi, ingenui come colui che, colpevole di qualcosa, si dichiara per primo innocente senza che nessuno lo abbia mai accusato. La differenza è che, in questo caso, il colpevole non spreca nemmeno una parola nel dichiararsi innocente e persevera nella sua crudele abitudine.

Cicchitto è stato il primo. Poi è toccato a Maroni, il ministro del “reato di clandestinità” e soprattutto dei respingimenti, l’uomo di punta del governo Berlusconi, un governo che, nelle sue due epoche di potere, ha firmato le peggiori misure in tema di immigrazione (aggiungiamo anche la famigerata legge Bossi-Fini e gli accordi con Gheddafi, che il successivo governo di centrosinistra non ha modificato), molte delle quali ci sono costate sanzioni pesanti dall’UE. Cicchitto e Maroni, uomini che non avrebbero mai trovato spazio politico o di governo se questo fosse stato un Paese normale. Oggi si difendono, negano le loro responsabilità, nascondendosi dietro la vergognosa logica della “guerra ai clandestini”, la guerra di uno Stato contro degli esseri umani aggrappati alla sola speranza di sopravvivere per poter aiutare chi è rimasto indietro.

“Non bisogna abbassare la guardia”, dicono. “Una cosa è fare il Papa, un’altra è governare”, ripetono all’unisono, come fosse un mantra partorito dall’indigestione di allucinogeni. A loro si aggiunge un altro leghista, Erminio Boso, detto “Obelix”, per la stazza che, probabilmente, è inversamente proporzionale al suo cervello e alla sua moralità. Ha espresso la speranza che affondi un barcone, così, solo per il gusto di  punire chi si schiera dalla parte della solidarietà e dei diritti umani. Mi verrebbe da ricambiare una simile speranza, augurando a questo disonorevole padano che possa essere lui ad affondare con il suo yacht o con la sua barca, magari nel Po, inquinato e melmoso come la sua anima.

Insomma, è bastato un gesto, sono bastate delle parole (adesso però vogliamo che si trasformino in azioni concrete), per far uscire fuori il peggio di quei mostri che, ahinoi, abbiamo imparato a conoscere e riconoscere. E a combattere. La lotta contro i mostri in doppiopetto, come Cicchitto, Maroni, Boso e altri è ancora lunga. Lunghissima. Ma qualcosa cambierà. Possiamo esserne certi. Cambierà nella gente che imparerà ad ascoltare e aprire il cuore. Perché forse questa crisi, che tutti pensano abbrutisca, costringerà tutti a essere più solidali, nella nuova consapevolezza che i beni più preziosi che salveranno l’umanità non possono che essere proprio la solidarietà e l’accoglienza. Nient’altro.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org