Segnali inequivocabili. Conferme di cui nessuno sentiva il bisogno perché tutto è chiaro da tempo. La fotografia degli immigrati, in fila e in catene, che entrano nella pancia dell’aereo che li scaccia per sempre dagli Stati Uniti rappresenta perfettamente il cordone ombelicale che lega il neoliberismo capitalista e la repressione. Un legame che diventa sempre più stretto, malato. La trasformazione della società civile in un perimetro ristretto e riservato, sempre più simile a un presidio militare, è il frutto avvelenato di un percorso mai veramente interrotto dalla storia. Le catene ai polsi e sui fianchi sono il punto esclamativo di quella fotografia, uno scatto che l’America mette nella cornice che contiene il quadro della sua storia: in quella storia ci sono anche gli schiavi che, incatenati mani e fianchi, arrivavano dall’Africa costretti a costruire col proprio sangue la grandezza dell’America. Torna il rumore di una parola terribile: deportazione. Una parola di ritorno, mai andata via veramente e mai sconfitta, ma solo nascosta sotto la polvere in attesa del suo momento.

Quel momento è arrivato, e non solo negli USA: in campagna elettorale Donald Trump aveva promesso la più grande operazione di deportazione della storia degli Stati Uniti, e ora vuole dimostrare di essere uomo che mantiene le promesse. Per togliere ogni dubbio, dispone anche la fine dello ius soli, quel diritto alla cittadinanza automatica per i nati nel suo territorio. Il messaggio feroce che arriva dagli USA trova l’applauso complice del governo italiano, che la deportazione dei migranti l’aveva già sperimentata nel 2004: era il governo Berlusconi due, Giuseppe Pisanu era il ministro degli Interni succeduto a Claudio Scajola un anno dopo la macelleria di Genova in occasione del G8. Sull’isola di Lampedusa arrivavano centinaia di immigrati che, dopo essere stati trattenuti nel CPT – centro di permanenza temporanea – venivano deportati in Libia, anche se non si trattava di cittadini libici. Il ministro Pisanu considerava queste operazioni in linea con il diritto nazionale e con le convenzioni internazionali, di fatto forniva la copertura del governo ai piani di rimpatrio forzato, vere e proprie deportazioni.

Negli anni successivi tutta la questione migrazione ha conosciuto picchi di feroce disumanità: a leggi infami come la Bossi-Fini, mai cancellata, si sono aggiunti il memorandum con la Libia del 2017 – governo Gentiloni e ministro degli Interni Marco Minniti – accordi sempre rinnovati e che hanno fatto della Libia il vero cane da guardia del Mediterraneo, e in cascata la guerra senza limiti contro le ONG, la pioggia di decreti sicurezza, l’inasprimento e la violenza dei CPR. Oggi, con il Protocollo Italia-Albania firmato il 6 novembre 2023 da Giorgia Meloni ed Edi Rama, il governo italiano cerca il definitivo “salto di qualità”. Gli accordi con l’Albania, ancora in attesa delle prossime decisioni della Corte di Giustizia Europea (CGUE), sono un fallimento totale a livello umano e a livello giuridico: emerge solo l’accanimento che questo governo razzista e fascista – ma legittimato dal voto dei cittadini di questo Paese – mette in campo contro i migranti e contro ogni forma di rispetto dei diritti umani e civili.

La forzatura di un decreto legge (DL 158/2024) che ignora le indicazioni internazionali e riscrive in proprio l’elenco dei “Paesi sicuri” è un segnale gravissimo, indicativo della linea politica che si intende seguire. La costante di ogni sistema autoritario, o di quelle “democrazie illiberali” come oggi piace chiamare ciò che in tempi passati si chiamava “regime”, è il richiamo allo “stato di emergenza” in base al quale si giustifica e motiva ogni decisione, ogni scelta repressiva e restrittiva delle libertà individuali e collettive, del rispetto dei diritti umani e civili. Negli USA il Presidente Trump dichiara uno “stato di emergenza al confine con il Messico” e con questo giustifica il massiccio schieramento di soldati alla frontiera e la ripresa del progetto del muro USA-Messico. Nulla di diverso da quella “difesa dei confini” che agita il sonno della destra in Italia nella sua guerra quotidiana contro le ONG e i migranti, contro la magistratura italiana e le corti internazionali.

C’è un dato che va ricordato e su cui occorre soffermarsi: quelli che il governo chiama “rimpatri”, ma che in realtà sono vere e proprie deportazioni, in Italia sono migliaia ogni anno. I dati in possesso della Rete Mai più Lager – No ai CPR parlano di circa 3000 ogni anno. Particolarmente feroci le modalità di “prelievo” dai CPR: di notte, con la scusa di una visita in infermeria che non ci sarà; oppure sedati, ammanettati e caricati su un aereo. La dimostrazione di forza è necessaria e utile allo scopo: se l’America carica i migranti nella pancia di un grande aereo cargo, l’Italia deporta in Albania i suoi “clandestini” su una nave militare. Conta anche la scenografia, il messaggio: su quell’aereo e su quella nave non salgono persone, ma merce da restituire al mittente.

Il ministro degli Interni italiano, Matteo Piantedosi, nell’autunno del 2022 parlava esplicitamente di “carico residuale” in riferimento allo sbarco di una parte soltanto dei migranti salvati dalla nave Sos Humanity 1 e ferma al porto di Catania con 35 persone a bordo: “Gli organismi di competenza accerteranno chi versa in condizioni di vulnerabilità e di questi ci faremo carico a prescindere dalle regole internazionali che noi riteniamo essere chiare. Dopo di che la nave dovrebbe lasciare le acque nazionali, con tutto il resto del carico che ne dovesse residuare”. Carico residuale, merce da rendere, il messaggio è semplice, e sembra decisamente condiviso dalla maggioranza dei cittadini: italiani ed europei o americani, non fa differenza. La stessa esternalizzazione dei CPR piace all’Europa e la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha definito l’accordo tra Italia e Albania un “percorso innovativo”.

Il piano di Trump è molto più ambizioso di quello che sembra, al punto che non gli bastano i confini USA e allora decide di arrivare in Medio Oriente per annunciare un piano per “ripulire” Gaza e deportare i palestinesi in Egitto e Giordania. La proposta ha trovato l’applauso delle autorità israeliane e della destra sionista israeliana. Per tutta l’estrema destra europea, quindi anche quella italiana, le politiche USA sui migranti sono linfa vitale e le prossime elezioni in Germania e nel Regno Unito possono alimentare ancora di più quell’ondata di odio razziale che non conosce confini. Piace sempre di più, anche in Italia, l’idea della remigrazione, cioè l’espulsione non solo dei richiedenti asilo e degli “irregolari”, ma di tutta la popolazione considerata straniera e non assimilabile, compresi i migranti con posizioni regolari e i loro nuclei familiari.

Piace ad Alessandro Corbetta, capogruppo della Lega al Consiglio regionale della Lombardia, che nei suoi canali social scrive che “in Italia, come già si fa in Germania e in altri Paesi europei, è fondamentale iniziare a discutere seriamente di remigrazione, ovvero il rimpatrio dei clandestini e dei criminali nei Paesi di origine, ma anche di quegli stranieri che scelgono deliberatamente di non volersi integrare”. AfD, in Germania, porta avanti da tempo questa volontà politica, con l’appoggio ed il sostengo di Elon Musk. Martin Sellner, razzista della destra estrema austriaca e dichiarato persona non gradita in diversi paesi, è il grande predicatore di questa deportazione di massa: c’è la sua mano dietro al raduno europeo dell’estrema destra che si terrà in Italia, nel mese di maggio a Milano. Tema del convegno: remigrazione, appunto.

Il progetto intorno al quale si ritrova e si stringe l’internazionale nera, in Europa e negli USA, è chiaro e alla luce del sole: viene indicato il nemico e viene indicata la soluzione. Nulla di nuovo nella storia della destra razzista e fascista in Italia, in Europa e nel mondo. Il potere crea e diffonde la paura e la paura chiede e vuole sicurezza, quella sicurezza che il potere aspetta di sentirsi chiedere per avere mano libera. Le grandi tragedie dell’umanità nascono sempre dalle persecuzioni su alcuni e dall’indifferenza dei molti: comincia sempre così, e la guerra ai migranti e alle minoranze suscita consensi e ammirazione, quasi ovunque.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org