Davanti alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, l’orologio si è fermato alle ore 10.25 e non è più andato avanti. È rimasto lì, a ricordare quello che è stato, a imprimere nella memoria quotidiana il dolore, la rabbia, la mai sopita urgenza di verità per una strage terribile, disumana, il più grande attentato alla storia democratica del nostro Paese, il culmine di una strategia eversiva che portò alla morte di 85 persone e al ferimento di altre 200. Una strage sulla quale, a 44 anni di distanza, non si è ancora fatta piena luce. Quell’orologio è fermo, tragicamente incastrato nel passato di un Paese che non va avanti e, anzi, sembra proprio voler tornare indietro, quantomeno nelle idee e nella violenza delle parole. E dei gesti. Sabato 9 novembre, a due passi da quella stazione, le formazioni di ispirazione fascista (elemento non legale in Italia, ma ampiamente tollerato, ancor più adesso) Casapound e i Patrioti, hanno svolto un presidio, una manifestazione. Autorizzata, nonostante le proteste, nei giorni precedenti, di Anpi, CGIL e sinistra.
I fatti sono noti: i fascisti (pochi, non più di 300) sfilano, gli antifascisti contromanifestano, mentre gruppi di antagonisti cercano di avvicinarsi al luogo del corteo, ma la polizia interviene per evitare il contatto e li carica. Feriti tra i manifestanti e i poliziotti, mentre i fascisti se ne stanno al sicuro e, addirittura, dialogano con una funzionaria di polizia chiedendo e ottenendo che gli agenti davanti a loro abbassino gli scudi. “Già siamo nervosi”, dice l’esponente di Casapound, che poi dà anche una pacca sulla spalla a un dirigente di polizia, dopo che la richiesta viene accontentata. Naturalmente, la polemica politica non si è fatta attendere. In testa, non poteva mancare l’incontinente ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che insulta i militanti di sinistra alla maniera di un alticcio e assiduo perdigiorno al bar, utilizzando tutto il vocabolario tipico, resuscitando persino il fantasma comunista e minacciando di chiusura i centri sociali occupati abusivamente e definiti come “ritrovi di delinquenti”.
Quanta energia nella tastiera del ministro! E dire che il prode leader leghista avrebbe avuto la possibilità, già quando era al Viminale (dove si vedeva di rado), di sgomberare degli estremisti politici, tra cui anche dei pregiudicati, esponenti di movimenti fuorilegge e occupanti abusivi di palazzi storici, come quello di via Napoleone III, a Roma, nel quartiere Esquilino. Un immobile che, dal 2003, è occupato da Casapound, che ne ha fatto la sede del suo movimento. Ma son fascisti, si sa, e non solo non danno fastidio al governo, ma risultano perfino utili. Come lo sono stati a Bologna. La manifestazione neofascista nel capoluogo emiliano, è stata una provocazione evidente ed è stata autorizzata per creare tensione. Si tratta dell’ennesimo segnale che il governo Meloni manda al Paese per ribadire che ogni spazio sarà occupato da chi vuole riscrivere la storia, una storia di sconfitti e di carnefici che oggi, in un contesto internazionale preoccupante, provano a rialzare la testa, a uscire da un atavico complesso di inferiorità.
Dalle piazze alla magistratura, dai luoghi simbolo alla Corte Costituzionale: la destra italiana, soprattutto la sua ala sovranista, non ha freni, non intende contenersi dentro i limiti della democrazia, guarda con fastidio alle regole e al buon senso. Così, lascia che i dintorni della stazione di Bologna siano occupati da chi si richiama a quell’estremismo politico che ha partorito il mostro dell’eversione terroristica, militanti che ancora celebrano quel mondo e i suoi protagonisti, i quali a loro volta intrattengono rapporti di amicizia con esponenti della destra meloniana, inclusi alcuni soggetti che ricoprono ruoli istituzionali importanti. Una scelta studiata, una tensione prevista e funzionale a scaricare tutto sulle forze antagoniste, sulle sinistre, su chi dissente. Una tensione che costa feriti e che mette a repentaglio i cittadini e anche quei poliziotti ai quali la destra, ipocritamente, esprime solidarietà.
Eppure le accuse più forti e acide sulla gestione di questa vicenda provengono proprio da un pezzo del mondo delle forze dell’ordine, nello specifico dal sindacato di polizia della Cgil. La segreteria nazionale del Silp-Cgil, dopo gli scontri, ha infatti affidato alle principali agenzie una nota nella quale afferma che è “fondamentale ricordare che i poliziotti non possono e non devono essere considerati ‘carne da macello’” e che “la concessione di spazi di manifestazione a movimenti con forti connotazioni fasciste, specialmente in luoghi simbolici come piazza XX Settembre a Bologna – che ricorda alcuni tra i più gravi episodi di violenza neofascista della storia italiana – appare non solo inopportuna, ma anche irresponsabile”. “La decisione di consentire tali manifestazioni – continua la nota – non ha tenuto conto del contesto delicato in cui si sono svolte e ha posto i presupposti per l’intensificarsi di scontri e tensioni“. Il Silp-Cgil, inoltre, definisce inaccettabile quanto osservato “in alcune immagini che mostrano uno dei leader dei movimenti di estrema destra dare ordini ai funzionari responsabili dell’ordine pubblico”.
Un comportamento che spinge il sindacato di polizia a sottolineare il fatto che forze dell’ordine e istituzioni debbano agire sempre “nel rispetto delle normative e delle procedure stabilite”, aggiungendo che “le garanzie di sicurezza pubblica devono essere assicurate con fermezza e legalità, senza infiltrazioni né pressioni esterne da alcun gruppo o movimento politico”. Una presa di posizione forte, alla quale ha risposto solo la questura di Bologna. Quest’ultima, riguardo alla questione degli scudi abbassati dalla polizia su richiesta di un esponente di estrema destra, parla di un “normale dialogo, che, nel corso di ogni manifestazione avviene al fine di garantirne l’ordinato e pacifico svolgimento”, rivendicando il fatto che proprio quella interlocuzione abbia poi consentito di ottenere la fine anticipata del corteo neofascista e la sua conclusione prima dell’arrivo previsto in piazza XX settembre, a meno di 300 metri dalla stazione.
Dal governo, invece, nessuna replica al sindacato di polizia, forse perché rispondere a una critica così dura richiederebbe toni aspri che frantumerebbero la falsa retorica della destra sulle forze dell’ordine. Non è mai opportuno,in effetti, attaccare poliziotte e poliziotti, nemmeno quando la loro sigla sindacale appartiene ai “nemici” della Cgil, quelli ai quali, in questi ultimi anni, i gruppi fascisti, che il ministro Piantedosi e il governo tollerano e coccolano, hanno assaltato e vandalizzato diverse sedi. I poliziotti è molto più semplice e comodo usarli come strumenti, quando si vuole creare tensione e si vuole costruire il caos (vecchia strategia cara alle forze più conservatrici e autoritarie), infischiandosene delle conseguenze. Tanto, al limite, poi basta sciorinare slogan e lanciare accuse o, nel caso più malaugurato, lucidare medaglie al valore.
D’altronde, i fascisti sono nostalgici, si sa, pertanto è difficile che possano evolversi e cambiare metodi e politica. Sono questi e il loro oltraggio alla memoria di Bologna è solo uno dei tanti punti della strategia di sdoganamento di una storia sconfitta e di contemporaneo assalto alla democrazia, di agguato all’unità di quella nazione/patria alla quale fingono di credere, ma che invece, da sempre, guardano con funesto desiderio distruttivo.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
Mi fa tanta rabbia l’articolo