La cosa peggiore in un clima di campagna elettorale perenne è che tutti i temi più importanti e urgenti finiscono in secondo piano. Soprattutto se riguardano l’umanità e i diritti inalienabili della persona. Anzi, quando trovano spazio, essi vengono perfino avversati, capovolti nella prospettiva, fino a divenire strumento per la costruzione di un consenso impastato di bugie e malvagità. Il tema immigrazione, in queste ultime settimane, è stato utilizzato solo nell’accezione più conveniente politicamente, vale a dire nel rapporto diretto con la questione sicurezza. Persino lo Ius soli, che con l’immigrazione ha alcuni marginali punti di contatto, è diventato l’arbitro della contesa elettorale.

Al punto che, nelle ore di commenti seguite ai risultati, abbiamo letto in diversi articoli di varie testate che il Pd avrebbe sbagliato a mettere in discussione il disegno di legge sullo Ius soli proprio prima del secondo turno di votazioni. Una questione di tempi. Secondo alcuni colleghi giornalisti e alcuni opinionisti, dunque, le questioni di civiltà andrebbero sacrificate al calcolo elettorale. Proprio come ha fatto (tardivamente, a loro avviso) il Pd, che dopo la zuffa in Senato ha rinviato il voto al post ballottaggi. Delle due l’una: o si perde per troppo coraggio o per poco coraggio. A mio avviso, si perde perché si è smarrita l’identità e perché su certi temi si oscilla fra aperture legittime e tardive e chiusure colpevoli o azioni criminali.

Il Pd non sa come rapportarsi al tema immigrazione. Segue l’andazzo del Paese, insegue la destra sulla squallida via della retorica sulla sicurezza, si macchia di misure illiberali come quelle del decreto Minniti-Orlando o come i disumani accordi con Paesi canaglia, passando sopra la pelle dei disperati, per poi aprire sullo Ius soli (anche se con un testo che poteva essere scritto meglio) senza però avere il coraggio di andare dritto fino in fondo. Il fatto è che il Pd ha paura di non riuscire ad accontentare tutti: né la sua anima destrorsa né quella minuscola parte ancora fedele a certi valori.

Ne viene fuori un ibrido osceno e fallimentare. Ma il problema riguarda tutti. E attiene all’umanità, a quello schema di valori che la politica degli ultimi decenni ha frantumato, modificato, ricostruito con linee perverse e inchiostri tossici. Non comanda più la buona politica, che oggi si è liquefatta e obbedisce a una società sempre più degradata e superficiale, individualista, crudele, indifferente. Quel che conta è il marketing, ossia sfamare gli appetiti più beceri del popolo che la cattiva politica ha stimolato per anni decostruendo le parti più nobili del sistema: la cultura (e l’offerta culturale), l’istruzione e l’informazione.

Serviva un popolo meno preparato, meno istruito, più propenso a “comprare” che a “comprendere”. Un popolo che non avesse più una precisa identità di valori e dunque una identità politica riconoscibile, oggi sostituite da una molliccia propensione al consumo affidata a una identità oscillante e malleabile. A questo obiettivo si sono dedicati tutti, negli scorsi anni. E a questo nuovo popolo, che è sfuggito di mano persino al peggiore dei suoi manipolatori, la politica attuale si rivolge con la propria offerta. Un’offerta che mette al centro contenuti superficiali, spesso falsi, dozzinali, ma immediati. Così basta un bersaglio da maltrattare e da rendere spaventoso, per ricompattare le cellule impazzite del nostro tessuto nazionale.

La paura diventa consenso, il complottismo ottuso diventa credibilità. Da tutto ciò, l’umanità viene sbalzata fuori insieme ai diritti. I tanti morti di questi giorni, i naufragi in quel tratto di mare antistante la Libia dove abbiamo lasciato che l’Europa si ritirasse dando campo libero ai libici e ai loro metodi disumani; oppure i morti nel deserto del Niger, quello che viene attraversato per giungere a quella stessa frontiera che con gli accordi italo-libici abbiamo lasciato in mano ai trafficanti e reso ancora più dura da superare: tutto ciò non fa notizia.

Non se ne parla, non si punta l’attenzione sulle responsabilità, non si dice ad esempio che le terribili difficoltà degli sbarchi degli ultimi giorni, con centinaia di migranti lasciati in attesa nei barconi a sperare nel bel tempo perché nelle navi delle Ong non c’è più spazio, sono legate al fatto che da quel tratto di mare qualcun altro se n’è andato e se non ci fossero le Ong oggi conteremmo migliaia di morti in più. Silenzio assoluto. Anzi, le Ong continuano a subire attacchi, continuano a dover affrontare gli strascichi di una campagna politico-mediatica-giudiziaria ignobile e colpevole. E per di più l’Italia, su iniziativa del governo, chiede all’Europa di intervenire minacciando di impedire l’approdo nei porti italiani del Mediterraneo delle navi battenti bandiera non italiana cariche di migranti.

La verità è che di questi drammi, dei disperati e dei morti, istituzionalmente ormai non si occupa più nessuno. Non interessano più. Lo si evince dai silenzi delle forze politiche, dalla crudeltà di certi loro atti, dalla pochezza miserabile dei loro slogan e, soprattutto, dall’orrore di cittadini/elettori sempre più mostruosi nei loro commenti che possiamo ascoltare ovunque e leggere in rete o sotto gli articoli dei quotidiani.

Si è passato il limite dell’umano e la politica attuale ha scelto di cavalcare il disumano, di renderlo “accettabile”, normale, quotidiano, perfino “istituzionale”. La scelta di Lampedusa di abbandonare il suo sindaco, di tornare indietro, di minacciare la negazione di una storia di accoglienza rintanandosi in un isolamento che aveva egregiamente superato, è il simbolo di un tempo buio, di un oscurantismo politico, culturale, umano che è generale, tocca tutti e tutto. Sono rimasti in pochi a tenere una lanterna in mano e a spendersi e combattere per l’umanità, a seguire una missione idealistica, filantropica, socialista o evangelica. Ma sono soli, molto soli ovunque.

Dentro la società, dentro la chiesa, dentro le redazioni, dentro i partiti, dentro le comunità locali. Sono uomini e donne che non si arrendono, piangono e stringono i pugni dinnanzi alle tombe senza nome di cui si popolano i cimiteri dei nostri territori di approdo e che tanto somigliano, nella sostanza, a quelle fosse comuni nelle quali la storia umana ha provato a nascondere i propri orrori. Qui non si tratta più di ottimismo o pessimismo, di passato o di futuro, di strategie, appelli, denunce, di pietà o di beneficenza. Qui si tratta di scegliere da che parte stare. Di quale storia essere eredi: di quella che sarà stata complice di crimini contro l’umanità o di quella che avrà lottato per fermarli e impedirli.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org