Adolescenti e giovanissimi che accoltellano professori e bullizzano coetanei. Ragazzi aggressivi, arrabbiati, delusi, col male di vivere, che faticano a gestire le emozioni. Gioventù problematica. E profondamente fragile. Accade ovunque nel mondo, accade in ogni città italiana, e non solo nelle periferie. Accade, come ci indicano gli ultimi fatti di cronaca, a Napoli, dove un ragazzo di 19 anni, Santo Romano, portiere di una squadra di calcio, è stato ucciso senza alcun motivo a San Sebastiano al Vesuvio. Un ragazzo che pare fosse lì per sedare un conflitto nato da un banale pestone a un piede. Il caso di Napoli non è l’unico, anche se la città partenopea, come denuncia lo scrittore e intellettuale Roberto Saviano, è diventata una “città armata”, e queste armi, spesso, sono in mano a ragazzini. Un problema che, continua, sembra sfuggito di mano anche alla camorra.

“Il modello Caivano è fallito”, spiega lo scrittore su Fanpage. “Non c’è prevenzione, analisi, conoscenza, né assunzione di responsabilità. Quello che è accaduto a San Sebastiano al Vesuvio è molto simile a quanto avvenuto a Mergellina un anno fa”. Il riferimento è a Francesco Pio Maimone, vittima come Santo Romano, colpito e ucciso da un proiettile vagante sparato dall’arma di un ragazzo al culmine di un alterco per motivi futili a cui Maimone era estraneo. Francesco, infatti, venne colpito mentre se ne stava seduto al tavolo di un locale a chiacchierare con un amico. Saviano, nella sua intervista, si concentra molto sulla realtà di Napoli e provincia, sul fatto che le armi si possono acquistare anche a costi calmierati  da organizzazioni criminali che non sono sempre camorristiche, ma provengono anche dall’Est Europa. Secondo lo scrittore napoletano, “ciò suggerisce che il mercato delle armi a Napoli non è più sotto il controllo diretto dei clan. Chi compra un’arma è comunque monitorato dalle organizzazioni criminali, per capire l’uso che ne farà”.

Se ci si concentra anche su altre città italiane come Milano, Bologna, Roma, Bari, Genova, Palermo, la situazione non ci fa sorridere per nulla. Cercare di dare risposte scontate a questo problema dilagante, non serve. Dobbiamo resistere alla tentazione di dare risposte semplici a domande complesse, a problemi gravi e articolati. Quando si afferma che il “modello Caivano” è fallito si dice proprio questo, che quel decreto che aumenta la repressione e la presenza delle forze dell’ordine nei territori a rischio, non basta. Non può bastare. Lo si è visto e lo si vede da quanto accaduto negli ultimi mesi. Non sono faide decretate da famiglie camorriste. Molti omicidi e violenze non accadano solo nelle periferie. Arcangelo Correra è morto nel centro storico di Napoli, in zona Tribunali. Quello che accade non è solo camorra. Lo stesso vale per altre città italiane.

Come risponde il governo Meloni all’analisi di Saviano? Come al solito, attaccandolo. La responsabilità di quel che succede a Napoli viene addirittura attribuita allo stesso Saviano, poiché, secondo il vicepresidente di Fratelli d’Italia in Senato, Salvo Sallemi, con il suo “Gomorra”, lo scrittore avrebbe fornito un “libretto di istruzioni” ai giovani per quel che concerne l’esercizio della violenza. Inutile sottolineare che questa affermazione è oscena, volgare e pretestuosa. Come al solito, il governo di Giorgia Meloni cerca di dare risposte semplici e inutili, oltre che diffamatorie, a problemi complessi, di cui è incapace di occuparsi.

Occorrerebbe invece una rivoluzione educativa e nonviolenta, come ad esempio ci ha insegnato, negli Cinquanta del Novecento, il sociologo e pedagogista Danilo Dolci e come ha cercato di fare don Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio a Palermo. Piuttosto che dispensare verità preconfezionate, occorre coinvolgere in un possibile cambiamento il numero maggiore di giovani, facendo partecipare direttamente la collettività. Senza questo coinvolgimento, che metta in discussione la scuola, i servizi sociali, le politiche economiche, non si va da nessuna parte. Creare centri educativi ovunque, laboratori maieutici nelle scuole, associazioni culturali e sportive, dare possibilità, ascolto, aiuto. Non esistono generazioni marce o condannate.

La prevenzione può essere efficace solo in un modo. E Danilo Dolci lo spiega in questa poesia, che la nostra presidente del Consiglio dovrebbe imparare a memoria: “C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli, passo per passo: forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato. C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo: c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato. C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo che c’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org