27 GIUGNO 1980. Il volo ITAVIA-870 decolla dall’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna alle ore 20:08 con destinazione Palermo. L’arrivo è previsto per le 21:15 ma quell’aereo non arriverà mai. Nessun problema viene segnalato durante il volo, poi all’improvviso la sua traccia scompare dai radar, come se non fosse mai esistita. Il giorno dopo su tutti i giornali la notizia appare in tutta la sua drammaticità e le prime ipotesi su quel volo mai arrivato a Palermo parlano di una possibile collisione, di un guasto o di un cedimento strutturale dell’aereo. Tante ipotesi, che allontanano dalla verità ma che, un giorno alla volta, costruiscono quel “muro di gomma” su cui tutto è destinato a rimbalzare e a perdersi. E contro quel muro cala il silenzio di chi non nessun diritto al silenzio: i vertici dell’Aeronautica Militare e dello Stato, un’intera catena di comando. Sono silenzi ricchi di contraddizioni e di morti accidentali, e mai chiarite, dei tanti testimoni che quella notte potevano aver visto quello che non dovevano vedere e raccontare: erano i controllori di volo, coloro che seguono le rotte e tracciano le scie, quelli che possono aver sentito le parole dei piloti e dell’equipaggio.
Morti in incidenti stradali o suicidi, nessuno di loro ha mai potuto raccontare nulla. Insieme a loro sono scomparsi anche i tracciati radar, e quelli che non sono scomparsi sono tagliati e parziali. Quel silenzio resiste fino al 1986, quando un appello, firmato fra gli altri da Stefano Rodotà, Antonio Giolitti e Pietro Ingrao, viene inviato al presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Nell’appello si chiede che “qualsiasi dubbio anche minimo, sull’eventualità di un’azione militare lesiva di vite umane e di interessi pubblici primari, sia affrontato”. A Bologna, il 22 febbraio 1988, nasce l’Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica, non solo in ricordo delle vittime ma con l’obiettivo di cercare la verità perché, come ricorda Daria Bonfietti, Presidente dell’Associazione, “appariva sempre più chiaro che coloro che lottavano contro la verità esistevano, erano esistiti fin dagli istanti successivi il disastro e operavano a vari livelli, nelle nostre istituzioni democratiche, per tenere lontana, consapevolmente la verità”.
Sono passati 43 anni dalla notte di Ustica. Anni di menzogne, depistaggi e vergognosi silenzi da parte di tutti i colpevoli. Il passaggio dal cielo alle onde del mare di Ustica è stato il passaggio repentino dalla vita alla morte, questione di attimi. Il mare nasconde tanti segreti ma restituisce sempre qualcosa, e qualcuno, che mette gli uomini di fronte ai loro delitti e alle loro falsità. Il mare di Ustica ha compiuto questo atto d’amore verso gli uomini anche quella volta, ma la volontà del potere e della “ragion di Stato” si è sempre dimostrata più forte e invincibile. Oggi, dopo 43 anni, le dichiarazioni di Giuliano Amato sembrano parole che aggiungono qualcosa che lascia un segno. Sembra, ma nella realtà dei fatti non aggiungono nulla di nuovo e di concreto. Sui morti nel cielo e nel mare di Ustica la verità è chiara a tutti, da tempo: quella rotta attraversata dal volo ITAVIA 870, la rotta “Ambra 13”, era la più trafficata da aerei amici e nemici. Aerei della NATO e aerei libici. Quella sera le navi e gli aerei della NATO hanno giocato alla guerra in “tempo di pace”.
In quell’azione di guerra il bersaglio era l’aeromobile su cui viaggiava Mu’ammar Gheddafi, considerato “il nemico pubblico numero 1″, insieme ai caccia libici che lo scortavano. Qualcosa non andò come previsto, e il DC9, con i suoi 81 passeggeri, non lo sapeva e non lo saprà mai. Qualche tempo dopo i rottami di un MIG libico furono ritrovati sui monti della Sila, in Calabria. La mano della NATO, non solo della Francia, è apparsa chiara fin dalle ore immediatamente successive alla tragedia e nella NATO c’era e c’è anche l’Italia. I dossier segreti italiani, NATO, francesi e americani non sono mai stati resi di dominio pubblico e il perché è facilmente intuibile. Allora le domande sono tante, e tutte lecite, anche alla luce delle reazioni successive alle dichiarazioni di Giuliano Amato.
Lui, Giuliano Amato, è stato e ancora è uno degli uomini che il “potere” lo conosce bene, ne ha fatto parte ai massimi livelli per decenni, conosce i segreti e i silenzi di ogni angolo del palazzo: è stato deputato e senatore dal 1983 al 2008. Ha ricoperto cariche di rilievo in molti governi, segretario del Consiglio dei ministri, vicepresidente del Consiglio, presidente del Consiglio in due mandati. Giurista costituzionalista e docente di diritto costituzionale, giudice della Corte costituzionale e presidente della stessa Corte. Si può dire una vita all’interno delle istituzioni e dello Stato, difficile pensare che non abbia avuto il tempo e le possibilità di incidere, di denunciare, di chiedere o fare chiarezza prima. Quindi la domanda è: perché soltanto adesso Amato sente il bisogno di queste dichiarazioni? Non sta a noi dare risposta a questa domanda, possiamo però fare alcune considerazioni. Da quell’estate del 1980 il mondo è cambiato, difficile stabilire se in meglio o in peggio. Un fatto però è sicuro: tutti i protagonisti politici di quel tempo sono morti. I grandi capi della politica di allora, Giscard d’Estaing e Mitterrand, Margaret Thatcher, il presidente USA Jimmy Carter, i vertici della politica italiana di allora: Craxi, Andreotti e Cossiga.
Sono morti anche i massimi responsabili dell’aeronautica militare italiana, tutti prosciolti dalle aule di tribunale dalle accuse di depistaggio. Eppure, il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e presidente dell’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica, commentando l’intervista a Repubblica di Giuliano Amato, ha affermato all’ANSA che “quelle confessate da Giuliano Amato sono tutte fandonie che non hanno retto nel dibattimento penale nel quale è emersa incontrovertibile, perché ampiamente provata, la verità che quel velivolo è stato vittima di un attentato terroristico con una bomba a bordo”. Sembra incredibile, ma il generale è convinto di questo. In pratica quasi nessuno può ora rispondere di persona di quanto successo in quella notte maledetta. Inutile, allora, provare a rispondere a questa domanda, inutile e impossibile. Sembra che ci siano state consegnate “rivelazioni” capaci, finalmente, di abbattere il “muro di gomma”, ma in realtà viene rilanciato quanto detto anni fa da Francesco Cossiga senza rivelare nulla di nuovo.
Fra le ipotesi, e le accuse, più accreditate fin dal primo momento c’è sempre stata quella di un duello aereo fra alcuni caccia della NATO e alcuni Mig libici. Il giornalista Andrea Purgatori fece uno straordinario lavoro di ricostruzione della strage di Ustica nella sua inchiesta, ponendo l’accento anche su come mai “l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, pur essendo a Palazzo Chigi nel 1980, impiegò 25 anni per confessare di aver sempre saputo dai servizi segreti che l’aereo era stato abbattuto dai francesi”. Dagli uomini dello Stato e dai vertici militari non giunse mai nessuna risposta, a dimostrazione che, all’interno del contesto europeo inserito nella NATO, siamo un paese a sovranità limitata. In tanti pensano che dovremmo essere grati a Giuliano Amato per queste dichiarazioni, ma dimenticano le ambiguità del personaggio e quella sua provata capacità di far corrispondere ad ogni azione interessi precisi.
Qualcuno pensa invece che sia una leva per mettere in crisi, più di quanto già non lo siano, i rapporti fra il governo italiano e quello francese. Può anche essere, perché tutto può essere in questo Paese dove tutto cambia per non cambiare nulla. Diventa però oggettivamente difficile capire il senso e la portata di dichiarazioni che non aggiungono nulla di nuovo a quello che già si sapeva. Lasciano un sapore sgradevole, poi, le parole dell’attuale governo: per la premier Meloni “nessun atto riguardante la tragedia del DC9 è coperto da segreto di Stato e nel corso dei decenni è stato svolto dall’autorità giudiziaria e dalle Commissioni parlamentari di inchiesta un lungo lavoro”. Per il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, invece, quelle di Amato sono “parole di un privato cittadino”. Matteo Salvini sottolinea che “Giuliano Amato ha rilasciato dichiarazioni di inaudita gravità a proposito di Ustica: è assolutamente necessario capire se ci sono anche elementi concreti a sostegno delle sue parole”. Il governo francese, dal canto suo, afferma di non avere alcun commento da fare in proposito.
Restano 81 vite cancellate, 81 storie e 81 nomi che non avranno giustizia. Resta quell’armadio della vergogna che nasconde e protegge gli autori e le menti delle stragi di quel tempo: Piazza Fontana, Brescia, Ustica, Bologna, fino a Capaci e via D’Amelio. Centinaia di morti, corone di fiori, “funerali e silenzi di Stato”. Le mani dello Stato, dei suoi vertici, dei Servizi e delle Forze Armate sono sporche di sangue e non bastano le parole, oggi, per lavare quelle mani. Resta “quel muro di gomma”, su cui tutto rimbalza e che non conosce mai alcuna vergogna.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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