A volte sembra di vivere in un Paese surreale, nel quale la distrazione e l’attenzione seguono unità di misura nevrotiche e incomprensjbili. Siamo nel Paese in cui si costruiscono campagne mediatiche e processi di piazza nei confronti di persone innocenti, alle quali non si perdona nulla e si chiede la massima trasparenza, anche quando non sono interessate da alcun procedimento penale. Una bolgia di parole, battutine, accuse, vignette contro un uomo, il riferimento in questo caso è volutamente a Soumahoro, che non ha compiuto alcun reato né è sospettato o indagato per qualcosa. Si parla allora di moralità, di principio morale che prevale su quello della responsabilità oggettiva, si arriva addirittura a chiederne le dimissioni da parlamentare, ossia di rinunciare a tutto, finanche alla propria difesa, nonostante non sia accusato di nulla, a differenza di molti colleghi parlamentari saldamente al loro posto nonostante i guai diretti, presenti e passati, con la giustizia.
Insomma, leggendo da un altro pianeta questa vicenda abbastanza recente, si potrebbe pensare che gli italiani, sia i cittadini, sia gli esponenti politici di destra e di sinistra, siano ligi al dovere, alle regole, onesti, attenti quindi a punire qualsiasi sconvenienza, soprattutto se questa riguarda chi occupa un ruolo pubblico. Per fortuna, però, l’Italia non la guardiamo da un’altra galassia, ma dal suo interno, anzi da quello che è un osservatorio politico spesso privilegiato, ossia la Sicilia. La settimana scorsa, all’Assemblea Regionale Siciliana, è stata eletta la Commissione regionale antimafia, un organo importante di indagine e vigilanza in materia di mafia e corruzione in Sicilia. Alla presidenza, è stato eletto Antonello Cracolici, esponente del PD, che succede così all’uscente Claudio Fava, giornalista e politico da sempre in prima linea nella lotta contro le mafie. Con Cracolici, sono stati eletti anche i due vicepresidenti: Ismaele La Vardera, giovane giornalista, ex collaboratore de Le Iene e oggi deputato nelle fila del movimento di Cateno De Luca, e Riccardo Gennuso, di Forza Italia.
La nomina della Commissione antimafia è stata salutata con “distrazione” da buona parte della politica e dei media, nonostante molti cittadini e osservatori, sui social, abbiano da subito mostrato il loro stupore e la loro indignazione. L’Italia, d’altra parte, è una nazione surreale, quindi tutto ciò è assolutamente “normale”. È normale che la gran parte dei mass media massacri un innocente, solo perché la suocera è semplicemente sotto indagine, ma poi taccia di fronte a quello che è davvero un problema morale come quello della composizione della Commissione antimafia siciliana. Il riferimento non è tanto a Cracolici, che in passato è stato archiviato per quel che riguarda l’accusa di peculato per la vicenda “spese pazze” in Regione, anche se obbligato comunque dalla Corte dei Conti a restituire 72mila euro (cifra che in primo grado era 4 volte più grande). Né ovviamente a La Vardera, il quale può anche essere valutato negativamente come giornalista, avendo assunto a volte iniziative farsesche e un po’ cialtrone (tipico di una “Iena”), ma sulla cui probità non ci sono ragioni di sospetto.
Il riferimento è ovviamente all’altro vicepresidente, Riccardo Gennuso, deputato di Forza Italia, figlio dell’ex parlamentare regionale Pippo, con lui sotto processo per estorsione a un ex dipendente di una delle sale Bingo che fanno parte dell’impresa di famiglia. Sulla vicenda, per giorni non è stata scritta e pronunciata una parola, niente articoli, niente attenzione mediatica. E non si dica che questa è una questione locale, perché parliamo di una delle istituzioni più importanti di una regione altrettanto importante. Soprattutto, se Latina è diventata così centrale per giustificare un’attenzione morbosa e crudele contro uno che non è nemmeno indagato, di certo Palermo non può essere da meno, con la differenza che qui un indagato c’è. Sia chiaro: per Riccardo Gennuso vale lo stesso principio che vale per tutti i cittadini, ossia che parliamo di una persona sotto indagine, non di un delinquente o di un colpevole. Esiste per lui come per tutti gli altri la presunzione di innocenza. Lo stesso non può essere ritenuto colpevole nemmeno di essere il figlio di Pippo, uomo passato tante volte dalle aule giudiziarie, tra condanne, assoluzioni e tutto quello che i processi determinano.
Nessuno è colpevole della propria provenienza, anche se va detto che, se Riccardo Gennuso è deputato ed è imprenditore, ciò lo deve al proprio genitore, con il quale condivide affari e passione politica. Anche questo però non costituisce un reato, così come non lo è il non avere avuto il coraggio di prendere le distanze dalla storia non proprio limpida del padre. Sono scelte che richiamano all’intimità della persona e alla propria coscienza, quindi non meritano alcun giudizio. C’è però una cosa che, invece, merita ampio rilievo, più di qualsiasi sentenza, indagine, rapporti di parentela ed altro: è la questione morale. Quella che la politica e buona parte dei media hanno dimenticato di sollevare, tra una dichiarazione di Schifani sul ponte sullo Stretto e una sul caro prezzi degli aerei da e per la Sicilia (ben svegliato Presidente, ma il tema era già centrale quando Lei occupava ruoli di primo piano a Roma…).
La questione morale, dicevamo, è quella per la quale Gennuso non avrebbe mai dovuto essere eletto, né accettare di essere eletto in Commissione antimafia. Per un supremo senso di responsabilità e opportunità, per rispetto di questa terra e di chi da sempre lotta contro le mafie. Perché chi occupa un ruolo dentro una istituzione importante che deve vigilare e indagare su mafia e corruzione, in Sicilia come altrove, deve essere totalmente lontano da sospetti, anche il minimo. Pertanto, nell’attesa che la vicenda giudiziaria sua e del padre trovi un esito definitivo, sarebbe meglio stare lontano dalla Commissione antimafia. Non basta certo l’autosospensione appena pronunciata (solo dopo che La Vardera ha sollevato il problema dopo giorni di silenzio), perché qui siamo di fronte a una inchiesta giudiziaria, a un’accusa grave e a una istituzione seria con un compito preciso.
Gennuso, pertanto, si dimetta, continui a fare il deputato, si difenda dalle accuse, chiarisca nelle sedi competenti e, una volta assolto, si riproponga eventualmente per il ruolo. Si prenda la sua rivincita se ne è capace. Detto questo, peggio dell’ostinazione di Gennuso è il doppiopesismo della politica e della stampa che, per rendersi conto dell’oltraggio politico compiuto nei confronti della Sicilia e di un organo importante come la Commissione antimafia, hanno impiegato quasi una settimana. D’altra parte, qui, il presunto colpevole non ha mica la pelle nera.
Massimiliano Perna – ilmegafono.org
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