Il 19 marzo scorso una coalizione di “volenterosi” della Nato ha dato il via all’operazione “Odyssey Dawn”, alba dell’Odissea, in Libia, e in quella data è iniziata una nuova guerra per l’Italia contro l’ormai ex amico di Silvio Berlusconi, il colonnello Muhammar Gheddafi. Dalla diplomazia si è passati subito alla guerra, un conflitto sempre più cruento e ingarbugliato che ci auguriamo non sia destinato a protrarsi. Dall’inizio delle rivolte in Libia sono morte almeno 10 mila persone, stando ai dati forniti dal Consiglio nazionale di transizione libico, l’organo di governo dei “ribelli” oppositori del regime di Gheddafi.
Solo nella traversata dalle coste libiche a quelle italiane, sarebbero almeno 1.200 le vittime del mare. Lo ha rivelato da Ginevra la portavoce dell′Alto commissariato dell′Onu per i rifugiati (Unhcr), Melissa Fleming. La stima è stata fatta da fine marzo, quando è cominciata la fuga via mare dalla Libia verso Lampedusa e Malta a bordo di barconi malmessi e sovraccarichi.
Nel frattempo, i ribelli continuano a combattere contro Gheddafi e il suo esercito di mercenari e fedelissimi. Le notizie sul conflitto, tuttavia, si moltiplicano e si sovrappongono e, come in ogni guerra, circolano voci e propaganda falsa. Lo scorso 5 maggio, un esponente del Consiglio transitorio libico (che ha sede a Bengasi, roccaforte dei ribelli), a Roma, in occasione della riunione del Gruppo di Contatto sulla Libia, alla Farnesina, aveva annunciato che gran parte del paese ormai era contro Gheddafi e con la ribellione.
A quanto pare, tuttavia, non è così: i combattimenti tra i libici continuano e il paese rischia di dividersi in due. Gheddafi, infatti, controlla ancora una parte del territorio nazionale, la regione occidentale, dove per altro sono situate le maggiori riserve di petrolio del paese. Ieri, la Nato ha annunciato che i “raid” aerei della coalizione a Tripoli, attorno a Sirte e alla città portuale di Misurata, nell’ovest, hanno avuto un impatto significativo, con conseguenze sui posti di comando dell′esercito del regime di Gheddafi, i suoi approvvigionamenti di munizioni e armamenti e la sua capacità di lanciare attacchi.
A Roma, durante la riunione del Gruppo di contatto (formato dai paesi che lavorano per la transizione al potere in Libia), è stata definita una “road map” per il futuro del paese magrebino che prevede in primo luogo il cessate il fuoco e l′abbandono del potere da parte di Gheddafi. Successivamente, un′assemblea nazionale di ricostruzione che possa lanciare un processo costituzionale da sottoporre a referendum popolare per preparare elezioni parlamentari e presidenziali.
Che sia ferito o fuggito nel deserto, tuttavia, il leader libico non sembra ancora disposto a cedere, e non è dato sapere quanti altri morti ci saranno prima che lo faccia, né quale sarà il futuro del suo paese, che per 41 anni è stato governato da una feroce dittatura e ehe ora sembra sgretolarsi sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.
redazione -ilmegafono.org
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