Che l’Italia, da culla primordiale delle arti, basata su secoli di stratificazioni di società e di storie che si susseguono dalla notte dei tempi, si sia trasformata in minuscolo ingranaggio arrugginito che fatica a girare al passo con gli altri in questa immensa, capitalistica macchina globale, è un dato di fatto. Che nell’ingranaggio-Italia quel dentino che sta nella parte più ossidata, quello tra i più logori, ma che per secoli è stato tra i più forti e meritevoli, è la cultura, non è una novità. Che tra le persone “illustri” che popolano l’ingranaggio-Italia e che fanno sì che quel dentino rimanga esattamente così com’è e che nessuno faccia mai niente per sistemarlo, c’è sicuramente Vittorio Sgarbi, è ovvio. E che tra i personaggi di questo elitario club di prescelti ci sia anche il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, è anche questo risaputo. Ma che i suddetti personaggi riescano sempre a spostare i limiti della decenza di un paio di metri all’anno, senza che nessuno faccia nulla, è quasi scandaloso.
L’ultima goliardata è stata la polemica scaturita per un tweet di Sgarbi che muove una critica in 98 caratteri (sui 240 disponibili di twitter che un critico degno di tale carica cercherebbe di sfruttare) sulla mostra “Nella natura con la mente” al Parco Archeologico di Segesta. Ma procediamo con ordine.
A metà dello scorso aprile, è stata inaugurata, nel Parco Archeologico di Segesta, una mostra en plein air a cura di Agata Polizzi e Beatrice Merz, in collaborazione con la Fondazione Merz e MondoMostre. ““Nella natura con la mente” porta in dialogo alcune opere contemporanee di noti artisti, come “Fibonacci Sequence” e “Un segno nel Foro di Cesare” di Mario Merz, o “La spirale” in ferro e vetro del greco Costas Varostos, e ancora un’opera, inedita per l’occasione, dell’artista Ignazio Mortellaro, quale “Primo Punto dell’Ariete”. Grande fanfara mediatica con articoli e comunicati stampa su Ansa, opening in grande stile, soddisfazione amministrativa generale. Fino a quando Vittorio Sgarbi decide di esprimere una sua personalissima opinione sull’evento, tramite un social network, con 98 caratteri e senza aver visto di presenza la mostra. Ecco le sue testuali parole: “Mi chiedo: perché violare la sacralità di luoghi pieni di poesia e bellezza con queste mostruosità?”.
Così, per una semplice domanda di Sgarbi, il presidente della Regione Sicilia, Musumeci, decide di chiedere, attraverso un comunicato stampa, all’assessore alla Cultura, Samonà, di “diramare un atto di indirizzo affinché i direttori dei Parchi si attengano a valutazioni omogenee“. Aggiungendo che intanto “l’allestimento artistico attualmente ospitato a Segesta va spostato in altro luogo”. Ma questo solo perché in Sicilia, essendo Regione a statuto speciale, musei e parchi archeologici sono gestiti dalla Regione. Certo, cosa molto strana questa, soprattutto considerato che, negli innumerevoli interventi dove si è mescolato il classico, l’antico e l’archeologico con il contemporaneo, nel resto del nostro Bel Paese, il deputato Sgarbi non ha avuto nulla da ridire. E soprattutto nessun esponente politico aveva fatto dietro front davanti a un tweet su un evento di tale portata e decidendo a priori di smantellare le opere e rimontarle da un’altra parte – non contando costi e rischi che provocano tali manovre.
Può anche essere legittimo considerare molto “approssimativo” il tipo di intervento fatto, rimarcando l’idea che non basta piazzare qualche installazione artistica contemporanea in mezzo a delle rovine per creare un percorso sensato. Così come è legittimo suggerire che, prima di giocare a “Doctor Who” e ai viaggi nel tempo, bisognerebbe magari pensare a delle metodologie di valorizzazione e fruizione immersa e partecipativa del patrimonio archeologico siciliano. Detto ciò, però, pensare che ogni volta che un liberal-conservatore, dalla dubbia etica professionale, fa i capricci e dice “che schifo” si debba cambiare menù per l’intero regno, mi sembra alquanto esagerato.
Una polemica continua che va avanti ormai dagli anni ’80, quando Sgarbi pagò la prima multa di 60 milioni di lire per una lite televisiva. Portata avanti da colui che crede di rappresentare l’élite intellettuale del Paese e che non riesce mai ad argomentare un dibattito se non con bieche e datate tecniche di comunicazione aggressiva, fatta di insulti, attacchi e lunghe liste di nomi propri e di luoghi (come ad esempio nell’intervista rilasciata a Massimiliano Tonelli su Artribune del 2019 sulla gigantesca polemica del caso “Palazzo dei Diamanti”). Ma, se come sostiene lo stesso Tonelli, Sgarbi (così come tutta una fetta conservatrice) ha così tanta paura del nuovo, perché non ha fatto togliere le sculture di Fabio Viale a Petrasanta? (leggi qui). O perché non frena “Arteporto. Fuori Confine” ad Ostia Antica? O ancora i “Palcoscenici Archeologici” di Vezzoli a Brescia? Così come la recente “Umberto Mastroianni. Dalla figurazione all’astrattismo. 1939-1996”, articolata tra Naxos e Isola Bella a Taormina?
Perché Taormina sì e Segesta no? Perché Mastroianni sì e Merz no? Dove sta il nodo? È puro e legittimo il sentimento di difesa e salvaguardia del patrimonio artistico e culturale, materiale e immateriale, paesaggistico e urbano, a tutela della memoria per le future generazioni, che magari muove determinate polemiche. Ma mi sembra anche che gli argomenti di fruizione, valorizzazione, scopo didattico e coinvolgimento sociale che bisogna associare, rimangano ancora fuori da ogni dibattito. Come, ad esempio, con il caso della statua dedicata ad Elena Cornaro Piscopia a piazza Prato della Valle di Padova lo scorso autunno, di cui abbiamo già parlato su queste pagine (leggi qui).
Per quanto riguarda l’iter gestionale dell’illustrissimo presidente Musumeci riguardo allo specifico caso (perché se dovessimo argomentare per il generale non finiremmo più), avrei un appunto: perché, data la vena conservatrice, non considera di rivedere le modalità di selezione dei progetti così da evitare determinati “scempi” (riferito alla polemica) a monte, invece di genuflettersi, far fare queste figure, diramare atti dal sapore dittatoriale e sperperare denaro pubblico in allestimenti inutili? E anche a Musumeci la stessa domanda: perché Naxos va bene e Segesta no? Perché i giganti di Igor Mitorai ad Agrigento sì (e quello sì che era un gigantesco nonsense) e Segesta no?
Simone Todorow, CEO di MondoMostre – azienda che da 20 anni organizza e cura mostre in Italia, USA, Cina, Cile, Giappone, Russia e Australia – dichiara a la Repubblica che “la mostra è stata organizzata rispettando tutto l’iter burocratico fino a oggi in vigore, ma non volevamo offendere la sensibilità di nessuno”. E aggiunge: “La mostra è stata pensata per esaltare la sacralità del luogo, per questo mi piacerebbe se, prima di prendere qualunque decisione a riguardo, Musumeci, Sgarbi e Samonà la visitassero insieme alle curatrici”. Il gallerista Federico Pantaleone non ha tardato a mostrare la sua solidarietà alla Fondazione Merz, MondoMostre e gli artisti lanciando l’hashtag “#saròcaprama”. Nel frattempo un altro vergognoso capitolo della storia siciliana contemporanea è stato scritto, anche questa volta sono stati commessi inesorabilmente gli stessi errori dai quali si continua a non imparare, le stesse domande sono state riproposte e le agognate risposte, ancora una volta, non ricevute.
Sarah Campisi -ilmegafono.org
Molto stimolante questo articolo. Sono d’accordo. Credo che i veti “di chi può” vincono sempre sul buon senso e sull’intelligenza. Purtroppo.