“È difficile comprendere come si sta senza un tetto, se non sei mai stato veramente senza un tetto sopra la testa. Come si vive in mezzo alla strada non lo sai, se non ci sei stato… In mezzo alla strada non hai niente e quando non hai niente ti viene ancora più voglia di tutto”. Sono le vive parole di uno dei 60 protagonisti di “Umani a Milano per Progetto Arca” di Stefano D’Andrea, volume uscito il mese scorso per Gribaudo che raccoglie 60 ritratti in bianco e nero arricchiti da altrettante storie, per descrivere la Milano delle persone senza dimora, di quegli invisibili che riesce a vedere ogni giorno Progetto Arca – una delle principali onlus milanesi (e non solo) che opera da 25 anni per combattere la grave emarginazione.

Protagonisti del libro sono persone senza dimora o fuggite da Paesi in guerra, ospiti di strutture di accoglienza o assistite dalle Unità di strada di Arca, insieme agli operatori (assistenti sociali, mediatori linguistici, psicologi, medici, infermieri) e ai volontari che di loro si prendono cura. La pagina specificatamente dedicata al protagonista appena menzionato s’intitola “Caffè”: tutti i 60 capitoletti del libro prendono infatti il nome da uno specifico termine individuato all’interno della storia che accompagna la fotografia. “Le persone qui raccontate non specificano come si chiamano o da dove provengono: sono informazioni inutili, perché sono importanti solo il percorso che li ha portati lì e le parole che usano per descriverlo”, spiega l’Autore.

20 di questi ritratti, selezionati dal libro insieme ad altrettanti estratti delle storie narrate, assumono adesso nuova potenza espressiva e comunicativa nell’omonima mostra fotografica – “Umani a Milano per Progetto Arca” – visitabile gratuitamente fino al 30 giugno all’Abbazia di Mirasole, luogo storico alle porte di Milano dove Arca conduce da un paio d’anni un progetto di inclusione sociale e di accoglienza di persone in grave stato di emergenza abitativa. Un’iniziativa, dunque, per accorciare le distanze, guardare oltre l’apparenza, dare voce a chi non ne ha, provare a combattere anche la paura del “diverso”.

Ad accogliere e introdurre il visitatore al percorso della mostra è una significativa frase di George Simenon, tratta dal romanzo “Maigret e il vagabondo”: “Ha notato qualche vagabondo sul ponte?”, “Non sono cose che si notano. Ce ne sono quasi sempre”. E infatti “sono centinaia, migliaia le vite che ogni anno si intrecciano dentro Progetto Arca – racconta il presidente, Alberto Sinigallia – ognuna con i propri talenti e difficoltà, le proprie emozioni, speranze e timori. Ma hanno tutte un comune denominatore che emerge bene dai ritratti di Stefano D’Andrea: sono storie di dignità e di rispetto l’uno verso l’altro. Attraverso ogni ritratto si racconta la storia di tutti noi di Progetto Arca”.

È il caso di “Settantuno”, capitolo che racconta di una vita che cambia quando il lavoro non c’è più, e di come dormire in un centro di accoglienza possa diventare, in alcune circostanze, una cosa per cui essere quasi contenti: “Per fortuna non ho mai dovuto dormire per strada, anche perché la mia salute non è buona e trovare lavoro è difficile come e quanto vivere al gelo. Passo le notti nei dormitori da oltre sei anni, per fortuna. Ne ho settantuno”. “Carne” racconta invece cosa significa perdere tutto, una famiglia, un lavoro rispettabile, e finire a vivere e dormire in strada, ma anche come trovare la forza di reagire: “Sai, ci sono due modi di vivere la strada: o ci cammini sopra o diventi la strada. Io in questi due anni ho preferito camminarci sopra e non farmi mangiare da lei”.

C’è poi la fotografia dedicata a “Loro”, arrivato due anni fa dal Gambia (“perché lì c’è casino politico”), che a Milano ha incontrato sua moglie ed è diventato padre: “Io dormo in questo centro di Progetto Arca, mia moglie e mio figlio vicino a Piazza Firenze. Loro ci sono, il resto non lo so”. Tra chi ha scelto di prendersi cura dei più fragili c’è “Motori”, che si è rimessa in gioco, come professionista, proprio grazie alla strada: “Io sono psicologa e mi definisco psicologa di strada ed è proprio lì, per strada, che ho capito che dovevo re-imparare tutto, ogni giorno. A Progetto Arca dedico due giorni a settimana”. E c’è anche “Io”, che dall’incontro con le persone senza dimora ha imparato ad apprezzare la propria vita: “Sono volontario e ovunque mi mandino faccio quel che devo e sono sempre contento. L’esperienza più forte e bella è stata al mezzanino della Stazione Centrale, la sera. Il contatto con la gente di strada, vedere i problemi degli altri e scoprire che avrebbero potuto essere i tuoi: sono esperienze che ti aiutano a ridimensionare i pensieri e valorizzare quello che hai”.

Il progetto “Umani a Milano per Progetto Arca” nasce da un’idea di Stefano D’Andrea, prima come racconto digitale – una foto e una storia al giorno pubblicate su Facebook nel febbraio 2018 – poi come libro (pubblicato appunto da Edizioni Gribaudo lo scorso maggio). Ora, l’ultimo tassello arriva con la mostra fotografica per i 25 anni della mission e dell’attività di Fondazione Progetto Arca. “Grazie alla collaborazione con Arca ho avuto la possibilità di parlare con chi – per le cause più differenti – non ha altro tetto se non le stelle, altro cibo se non quello ricevuto in dono, altri amici se non quelli che hanno deciso di esserlo, per un tempo limitato, per missione e per lavoro” spiega D’Andrea. “Lo scopo di Umani a Milano è di ridurre le distanze, spezzare il vuoto che c’è tra le persone che si incrociano sui marciapiedi ogni giorno. Si ha meno paura degli altri se ci hai parlato”.

La mostra è visitabile presso l’Abbazia di Mirasole (Strada Consortile del Mirasole 7, Opera) fino al 30 giugno, dal martedì alla domenica (h.9-13, 16-19). L’ingresso è gratuito. Per maggiori info: www.progettoarca.orgwww.abbaziamirasole.org.

Filippo Nardozza (Sonda.life) -ilmegafono.org