Dieci giorni fa, la Cassazione ha confermato le condanne per i due carabinieri che picchiarono selvaggiamente Stefano Cucchi. L’assassinio di Cucchi è una delle vicende più eclatanti tra quelle che chiamano in causa la violenza gratuita commessa da appartenenti alle forze di polizia italiane nei confronti di cittadini inermi. Ce ne sono state anche altre ad aver fatto clamore, come ad esempio il caso Aldrovandi, per non parlare delle violenze collettive, bestiali, premeditate e politiche, avvenute nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, a Genova, in occasione del G8 del 2001. Il caso di Stefano Cucchi, però, grazie anche alla lunga e coraggiosa battaglia della sorella Ilaria, è diventato simbolo di opposizione a un modello di Paese che un po’ troppo spesso sospende la democrazia e nel quale nessuno può sentirsi davvero al sicuro.
Se le violenze compiute a Genova erano il punto più basso e feroce di una strategia politica studiata a tavolino, i casi che coinvolgono Cucchi, Aldrovandi, Uva e, ad esempio, Riccardo Magherini, sono il frutto di mentalità violente, modalità di azione criminali, incapacità di gestione delle situazioni. Tutti fattori con i quali i corpi di polizia non riescono ancora a misurarsi, a fare davvero i conti. Segno di una incapacità di gestire e selezionare l’intero proprio personale sulla base di valori inderogabili. Sia chiaro, i corpi di polizia italiani sono tra i più evoluti e sono pieni di persone dotate di capacità, valori, rispetto delle regole, ma purtroppo come in ogni ambito esistono dei vuoti che, però, nel caso di chi indossa una divisa, sono più pericolosi e assolutamente inaccettabili.
Sbagliato parlare di mele marce, molto più corretto pensare a un nocivo senso di potere e una irritante presunzione di impunità, a logiche tossiche che strisciano dentro le caserme e i reparti, pervadendo alcune teste, logiche che andrebbero scoraggiate e corrette, proprio per salvaguardare l’onore dei corpi di polizia da chi, con comportamenti criminosi, macchia la propria divisa e la credibilità di ciò che rappresenta. Questo problema non riguarda solo le forze di polizia tradizionali, ma anche (e forse in modo ancora più pericoloso) i corpi di polizia locali, che sono sotto la dipendenza e la responsabilità degli enti comunali. Quanto accaduto a Firenze è l’esempio di come ci sia qualcosa di guasto nel meccanismo di gestione dell’ordine pubblico e anche nel concetto sempre più distorto di decoro urbano.
Il video dell’arresto nel centralissimo Ponte Vecchio di un ambulante senegalese (guarda qui), un cittadino al quale era scaduto il permesso di soggiorno e che viveva vendendo braccialetti per strada, ha ricordato a tutti le terribili immagini di George Floyd, ucciso a Minneapolis da un poliziotto che lo teneva immobilizzato impedendogli di respirare. L’arresto di Firenze, motivato da una presunta reazione scomposta del ragazzo a un controllo, come ha sbrigativamente cercato di chiarire il Comune, nasce dall’assurda logica di etichettare la presenza di venditori stranieri come una faccenda di decoro urbano. Così come assurda è la logica di tenere stretto per il collo, a terra, un uomo già immobilizzato, che chiede scusa e che mostra di avere paura. Lui stesso, intervistato da La Nazione, racconta di aver reagito per paura e smentisce il Comune (che aveva affermato che il ragazzo non aveva avuto bisogno di ricorrere alle cure mediche, a differenza di uno degli agenti), raccontando di aver ricevuto una prognosi di quattro giorni dal pronto soccorso di Pontedera, dove vive e dove si è recato per i dolori al fianco e a una spalla.
Al di là del fatto e della dinamica che si spera possa essere accertata dalla magistratura e che, intanto, ha aperto un incidente diplomatico con il governo del Senegal, quello che fa più riflettere è un aspetto che risalta sui social: i commenti delle persone, dei cittadini comuni. Se nel verificarsi del fatto, abbiamo potuto notare lo zelo di due persone che si sono avvicinate per riprendere la scena e criticare, anche aspramente, l’atteggiamento forzuto dei due vigili urbani in borghese, nella bolgia dei social si sono scatenati i commenti e, come al solito, le fazioni. Ciò che fa riflettere è la cattiveria di certe opinioni, lo schierarsi rabbioso e preventivo dalla parte dei due agenti, la giustificazione dell’uso della violenza, l’idea che le forze di polizia non possano intervenire in maniera più “delicata”. Ciascuno ha già emesso la sua sentenza, senza il minimo ragionevole dubbio, malgrado il video che, ovviamente, il Comune definisce parziale.
Anche l’atteggiamento dell’ente, d’altra parte, è figlio di una società conformista nella sua crudele evoluzione. Non c’è spazio per la verifica concreta e completa prima di rilasciare dichiarazioni perentorie. Sia chiaro, nessuno pretende che le forze di polizia (o i vigili urbani, che però, va sottolineato, non hanno lo stesso livello di addestramento) usino sempre i guanti gialli quando ci sono situazioni di rischio, ma tutti dovremmo pretendere che l’intervento sia finalizzato a neutralizzare la minaccia (e ci si chiede: un uomo disarmato contro due è davvero una minaccia?). Il punto è un altro: se riesci a immobilizzare un uomo che ha reagito e lo hai messo in condizione di non colpirti, il tuo lavoro è finito. Se invece lo continui a vessare, stringendo il collo, stando con il tuo peso addosso al suo corpo, al fianco o alla schiena o al petto, allora non è più il tuo lavoro, è barbarie. Perché rischi di fare male e perfino di uccidere.
E a Firenze, dove ancora è viva la rabbia per la morte di Riccardo Magherini (sul cui caso la Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha recentemente chiesto chiarimenti all’Italia), questo si sa molto bene. Ma purtroppo viviamo in un Paese con evidenti problemi di memoria, se è vero che, nonostante Cucchi e Magherini, si continua ad accettare e addirittura ad auspicare l’uso eccessivo della forza. Naturalmente sempre e solo con gli ultimi e con chi non è in condizione di difendersi. La verità è che in Italia, il bisogno drogato di sicurezza, ci ha reso meno sicuri, ma non ce ne accorgiamo e non ci rendiamo conto che tutto questo potrebbe capitare a ciascuno di noi. In qualsiasi momento e senza alcuna colpa.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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