In un articolo del 1969, Pier Paolo Pasolini scriveva così della sua città natale: “Cos’ha Bologna, che è così bella? L’inverno col sole e la neve, l’aria barbaricamente azzurra sul cotto. Dopo Venezia, Bologna è la più bella città d’Italia”. A Bologna, al civico 4 di via Borgonuovo, nel quartiere Santo Stefano, Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo 1922, figlio della maestra friulana Susanna Colussi e dell’ufficiale bolognese Carlo Alberto Pasolini. A cento anni dalla nascita, il capoluogo emiliano ha dedicato diverse iniziative al poeta, allo scrittore, al drammaturgo, al regista, allo sceneggiatore, al giornalista, all’intellettuale che amava ferocemente, disperatamente la vita: una mostra, un convegno, due pubblicazioni, una retrospettiva integrale e la distribuzione, in tutta Italia, di una selezione dei suoi film. Nella mostra si segue la traccia che Bologna ha lasciato nella formazione di una delle anime più profetiche del Novecento, dalla nascita agli anni del liceo e dell’università, coltivando una passione, quella per l’arte figurativa, che ne segnerà la formazione.
Una vera e propria folgorazione dovuta a un maestro come Roberto Longhi. Egli fu professore di storia dell’arte all’Università di Bologna ed ebbe come allievi Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini, influenzandone la formazione estetica. Del suo maestro, Pasolini, nel 1973 scriveva: “Se penso alla piccola aula in cui ho seguito i corsi bolognesi di Roberto Longhi, mi sembra di pensare a un’isola deserta, nel cuore di una notte senza più una luce. E anche Longhi che veniva, e parlava su quella cattedra, e poi se ne andava, ha l’irrealtà di un’apparizione. Era, infatti, un’apparizione. Non potevo credere che, prima e dopo aver parlato in quell’aula, egli avesse una vita privata, che ne garantisse la normale continuità. Nella mia immensa timidezza di diciassettenne (che dimostrava almeno tre anni di meno) non osavo nemmeno affrontare un tale problema. Non sapevo nulla di incarichi, di carriere, di interessi, di trasferimenti, di insegnamenti. Ciò che Longhi diceva era carismatico. Solo dopo Longhi è diventato il mio vero maestro. Allora, in quell’inverno bolognese di guerra, egli è stato semplicemente la Rivelazione”.
Questa “Rivelazione” sarà presente nelle sue opere, soprattutto quelle cinematografiche ed è presente nella mostra “Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni figurative”, che è in corso nei nuovi spazi espositivi del Sottopasso di Piazza Re Enzo. In una sorta di dialogo senza fine, le grandi opere della storia dell’arte si innestano nel lavoro cinematografico dell’intellettuale Pasolini, dalle opere medievali a quelle del Rinascimento. Queste “folgorazioni” che incantarono il timido sguardo di un diciassettenne pieno di talento, sono presenti nell’esposizione realizzata dalla Cineteca di Bologna, che le ricostruisce mettendo a confronto le opere della tradizione pittorica con alcune scene e inquadrature dei film pasoliniani, da “Accattone” del 1961 fino ad arrivare a “Salò” del 1975.
Basta guardare l’inquadratura della morte di Ettore, in “Mamma Roma”, con una magnifica Anna Magnani, per pensare al Cristo Morto di Andrea Mantegna. Stessa inquadratura, stesso dolore. Anche il Cristo del Mantegna sembra sussurrare, come Ettore: “Aiuto … Perché m’avete messo qua? … Perché? Aiuto … Me fanno male le braccia … Aiuto … Aiuto …” . Curata da Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli, “Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni figurative” è aperta al pubblico dal 1° marzo. Promossa dalla Cineteca di Bologna, nell’ambito delle celebrazioni del Comune della città felsinea e di quelle del Comitato nazionale per il Centenario della nascita di Pasolini, con il patrocinio di Alma Mater Studiorum Università di Bologna, il sostegno del Ministero della Cultura e della Regione Emilia-Romagna, la partnership con Tper e Trenitalia Tper, la mostra sarà visitabile fino ad ottobre 2022.
Accanto alla mostra, anche due pubblicazioni: “Pasolini e Bologna. Gli anni della formazione e i ritorni” e “Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni Figurative”, catalogo dell’esposizione. Attraverso il cinema Pasolini ha espresso la trasformazione antropologica dell’Italia, dal dopoguerra, in cui l’Italia era distrutta e gli italiani erano dei poveri morti di fame, agli anni del neocapitalismo borghese, in cui la televisione diventa unico modello a cui fare riferimento. Proprio i film di Pasolini torneranno al cinema per celebrare il centenario della sua nascita. La Cineteca di Bologna, con il suo progetto Il Cinema Ritrovato al cinema, e CSC – Cineteca Nazionale, stanno già portando nelle sale di tutto il territorio italiano la quasi totalità della filmografia pasoliniana, dal già citato “Accattone” al “Vangelo secondo Matteo”, da “Uccellacci e uccellini”, con un formidabile Totò, a “Porcile”, da “Edipo Re”, con Maria Callas, innamorata e folgorata dal regista, a “I racconti di Canterbury”.
Pier Paolo Pasolini è stato uno dei più grandi intellettuali e nelle sue opere le folgorazioni figurative e la lingua sono i sentieri che guidano nel mondo del Poeta chi lo legge, lo guarda, lo “ascolta”, lo giudica, lo critica, lo ama: “L’aggettivazione sorgiva e inesauribile, la serenità della sua solitudine, il sussulto dei suoi rapimenti, il virtuosismo dell’indignazione, la precisione ottica del lessico, la maestosità e la particolarità della sua nostalgia”, come scrive Mario Sesti. Tutti gli eventi a lui dedicati saranno in grado di trasferire in questo presente così complesso e tragico, la grande lucidità, lo spessore culturale, l’unicità e la straordinarietà del suo pensiero di intellettuale e di uomo calato nella società, tanto da essere profeta per un futuro che oggi stiamo drammaticamente vivendo?
In questi giorni dove la guerra, che non ha mai smesso di mietere vittime in varie parti del mondo, torna in Europa e ci porta sull’orlo del precipizio, tornano in mente le sue parole, scritte nell’estate del 1943 all’amico Franco Farolfi: “La guerra non mi è mai sembrata tanto schifosamente orribile come ora: ma non si è mai pensato cos’è una vita umana?” .
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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