Vorrebbe far vedere che ci sta provando, Mario Draghi. Che vuole rispondere all’indignazione suscitata dalle immagini dei corpi dei bambini sulle spiagge libiche. Corpi dati in pasto, ancora una volta, al voyeurismo macabro di un mondo che non riesce a rendere quotidiana quell’indignazione, a non separarla dalla necessità di immagini shock che abbiamo visto tante volte senza che ciò abbia mai prodotto alcun reale cambiamento. Corpi esibiti sui giornali, sui social, come avvenne per Aylan e per tanti altri casi di migranti nei quali, a differenza di quanto accade per le tragedie che coinvolgono italiani o in genere occidentali, il pudore e il rispetto per i morti non contano più. L’onda emotiva però sembra aver accelerato la volontà di Draghi di trovare una soluzione al problema delle morti in mare e del ruolo della Libia nella tratta degli esseri umani.
Il premier italiano ha accolto Abdul Hamid Dbeibah, primo ministro del governo di unità nazionale della Libia, e la gestione dei flussi migratori è stata un argomento centrale nell’ambito di questo incontro. Draghi ha parlato del dovere di rispettare i diritti umani, della necessità che l’Europa faccia la sua parte insieme all’Italia e che il tema sia affrontato come prioritario nel prossimo Consiglio Europeo. Un tentativo, quello del premier italiano, di dare una svolta, di fare in modo che l’UE si impegni nei meccanismi di distribuzione. E l’Italia intanto cosa pensa di fare? L’Italia continuerà a salvare vite umane, dice Draghi, e proseguirà con il finanziamento “dei rimpatri volontari assistiti e delle evacuazioni umanitarie dalla Libia”. In che modo? Continuando ad aiutare la Libia, a sostenerla nell’attività di formazione.
In poche parole, non si stracciano gli accordi, non si interrompe il rapporto con la Guardia Costiera libica, quella che cattura i migranti in mare e li rinchiude nei lager, sia quelli ufficiali, sia quelli clandestini, gestiti da criminali in affari proprio con la Guardia Costiera libica o infiltrati dentro la stessa. L’idea è sempre quella di rafforzare il sistema di blocco delle partenze, aiutando e finanziando il governo libico anche nella ricostruzione del Paese. Si parla perfino di bloccare gli arrivi dalla frontiera meridionale libica, quella dalla quale i migranti giungono attraversando il deserto, le cui sabbie ricoprono scheletri e cadaveri di chi non riesce a farcela.
Insomma, la ricetta di Draghi non è affatto nuova e coinvolge ancora il governo di Tripoli come interlocutore, non come responsabile o corresponsabile di un genocidio. Si chiede il dovere del rispetto dei diritti umani a un Paese dimezzato ma perfettamente compatto nel non riconoscere i diritti umani, né dentro né fuori dai centri di detenzione. Centri nei quali, come ha raccontato Nello Scavo su Avvenire, l’Onu non ha libero accesso, né ha la possibilità di intervenire e verificare gli abusi che lì dentro vengono costantemente compiuti. Ecco perché le parole e la linea di Draghi non convincono. Sono parole di circostanza e sono più finalizzate al contenimento dei flussi che al rispetto dei diritti umani e alla soluzione della tratta. È arduo pensare che la soluzione possa essere il rimpatrio volontario o dire che l’Italia continuerà a salvare vite umane, dimenticando i diversi casi nei quali, anche di recente, il nostro Paese non ha salvato i naufraghi, lasciati in mezzo al mare per il solito gioco del rimpallo politico con Malta.
Suona dannatamente ipocrita dire che le persone saranno salvate e poi tenere le Ong lontane dal mare, non rimuovere i blocchi nei loro confronti, non promuovere e organizzare una attività di pattugliamento, soccorso e salvataggio che coinvolga anche la Marina italiana, non spingere al ritorno a una missione europea in mare. Soprattutto è ipocrita continuare ad assegnare un ruolo preponderante alla Libia, sia nel soccorso sia nella gestione delle partenze. La soluzione, la sola che Draghi dovrebbe proporre all’Europa, oltre a un piano di ricollocamento che parta dal superamento del trattato di Dublino e anche da una totale revisione degli accordi di Malta, è la lotta congiunta ai trafficanti in Libia, l’installazione di corridoi umanitari gestiti da Onu e Ong sempre in Libia e nei Paesi di partenza, lo scioglimento degli accordi con la Libia e il disconoscimento del ruolo della sua Guardia Costiera.
Lasciare a Tripoli la funzione che, sull’altro versante, è stata colpevolmente riconosciuta alla Turchia, non avrà alcun effetto positivo sulla tutela dei diritti umani. Peraltro, continuerà a sottoporre l’Europa al ricatto, con gli esseri umani utilizzati alla stregua di merci. Inoltre, ragionare con la Libia senza considerare gli scenari geopolitici che si stanno giocando nel Paese nordafricano, non favorirà alcuna soluzione concreta. Insomma, al di là delle parole e delle presunte volontà risolutive, il progetto di Draghi non si discosta dalle logiche (italiane ed europee) che mettono in primo piano la riduzione dei flussi, la fasulla “questione sicurezza”, il freno alle partenze. Logiche che vanno sempre nella direzione di quella Europa “cittadella-fortezza” che, in nome della propria chiusura e della propria posizione dominante, passa sopra i diritti umani, gli orrori, il genocidio.
Un’Europa che abbandona l’uomo e tutti i principi più nobili di solidarietà e umanità, gettandoli nell’orrore umido del Mediterraneo, in quello periferico delle coste libiche o di Ceuta o Lesbo, in quello gelato di Lipa o delle frontiere alpine. Un’indifferenza crudele che non si può pensare di cancellare con parole che ripropongono modelli già falliti e visioni schematiche e riduttive. Una responsabilità che non può essere dimenticata con nuove politiche che non mettono al centro l’essere umano e la priorità irrinunciabile di tutelare, non solo la sua incolumità e la sua dignità, ma anche il suo diritto a sognare una vita migliore.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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