Nelle scorse settimane, in Francia, è stata approvata finalmente una legge per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Ci sono voluti ben 11 anni affinché anche i francesi si dotassero di regole ben definite per quel che concerne la confisca e il riutilizzo dei beni: 11 lunghi anni di lotte, ritardi e persino ripensamenti, ma che per fortuna, alla fine, hanno portato ad una soluzione desiderata e voluta da gran parte della società civile. Si tratta di una vittoria importantissima che non può che ispirarsi al modello italiano e che, come in Italia, è nata dal basso, grazie allo sforzo enorme di piccole associazioni e di numerosi attivisti sparsi in tutto il Paese. Tra gli attivisti più importanti in Francia nel campo della lotta alla criminalità organizzata c’è Fabrice Rizzoli, ricercatore e presidente, dal 2019, dell’associazione Crim’HALT, con cui si batte ormai dal lontano 2009.

Rizzoli è uno dei fautori della legge appena provata e adesso, dopo tanti anni, può ritenersi soddisfatto. “Con questa legge – ha affermato – anche in Francia la casa del trafficante di droga potrà diventare un alloggio d’emergenza e l’appartamento del corrotto potrà essere messo a disposizione di una Ong. In questo modo, la Francia potrà riparare i territori danneggiati dai criminali”. Certo, di lavoro da fare ce n’è ancora molto, soprattutto sotto l’aspetto legale. Nonostante questo “risultato straordinario”, come lo ha definito Rizzoli, si tratta di una legge “molto restrittiva perché né la confisca né la destinazione sociale sono obbligatori. Spetterà poi all’Agenzia nazionale dei beni confiscati decidere se vendere l’immobile o metterlo a disposizione”. Inoltre (e questo è un punto su cui si lavorerà da qui in avanti), “i beni immobili non potranno essere destinati né a istituzioni come i comuni o le province, né alle cooperative, ma solo ad associazioni e fondazioni”.

Non bisogna dimenticare anche che in Francia per la confisca è necessaria una condanna penale definitiva: una differenza enorme rispetto all’Italia dove la confisca è una misura preventiva. “Chiederemo che la confisca diventi obbligatoria – chiosa Rizzoli – e che sia prevista anche in casi di condanna civile e amministrativa, proprio come in Italia”.

Insomma, la legge appena approvata è senz’altro un punto di partenza importantissimo che deve fungere da motore perché la lotta alla criminalità organizzata diventi decisa e rilevante anche in Francia. Un punto di partenza, non d’arrivo, affinché non ci si accontenti e non si rischi di lasciare il lavoro a metà, dando così possibilità alla mafia stessa di aggirare eventuali restrizioni. Il compito del governo francese attuale e di quelli futuri, in poche parole, è di non sottovalutare il fenomeno mafioso come è stato fatto negli anni passati. Un fenomeno che, come abbiamo notato, è molto presente anche in Francia, soprattutto in Corsica, dove la situazione rischia di sfuggire di mano. Proprio qui, infatti, è sempre più presente una mafia autoctona che lo Stato ha colpevolmente lasciato prosperare in funzione antiterroristica: una sorta di protezione contro i moti indipendentisti che nel giro di qualche anno ha portato a ben 30 omicidi di mafia all’anno (su 340 mila abitanti totali).

Insomma, è ora che la Francia (così come tanti altri Paesi Europei) si arrenda all’idea che la criminalità organizzata non sia soltanto un problema italiano, ma che, al contrario, coinvolge tutti e che solo unendo le forze si riuscirà a sconfiggerla una volta per tutte. È ora di prendere ad esempio l’Italia e la lunga lotta condotta, soprattutto negli anni passati. Quanto avvenuto in Francia con l’approvazione di questa legge costituisce infatti un orgoglio per il nostro Paese. 

Quante volte abbiamo sentito parlare esperti, sociologi e gli stessi politici del fatto che l’Italia fosse indietro rispetto ai più importanti paesi Europei? Siamo indietro a livello economico, forse, abbiamo una crescita che rasenta lo zero. Per non parlare della presenza di ben quattro mafie autoctone. Eppure, il nostro Paese è anche avanguardia, come nel caso della lotta alla criminalità organizzata. Certo, questo triste primato viene sicuramente da un’esperienza vissuta sulla pelle del Paese e su una storia fatta di sangue, omicidi, pallottole e bombe che hanno lasciato il segno, ma è al contempo una dimostrazione forte di come l’Italia è stata attraversata anche da donne e uomini che non hanno abbassato la testa e non sono morti invano. 

Giovanni Dato -ilmegafono.org