Dopo lo scandalo delle intercettazioni sui giornalisti che indagavano sul traffico di esseri umani in Libia e dopo l’imbarazzante endorsement alla Guardia Costiera libica da parte del premier Mario Draghi, è giunta pochi giorni fa un’altra notizia sconcertante: la liberazione di Abdurhaman al-Milad, meglio noto come “Bija”. Parliamo di un uomo indicato dall’Onu come uno dei capi del traffico di esseri umani, armi e petrolio nel distretto di Zawyah, un personaggio che abbiamo imparato a conoscere soprattutto grazie alle inchieste di alcuni giornalisti e giornaliste. Bija è stato liberato dai magistrati tripolini e oggi non solo è tornato in libertà ma ha anche ricevuto la promozione a grado di maggiore. Sì, perché Abdurhaman al-Milad è un militare della Guardia Costiera libica. sempre quella alla quale il nostro premier ha recentemente mostrato gratitudine.

Un guardiacoste accusato di essere uno dei trafficanti più potenti, collegato ad altri trafficanti crudeli e ancora più potenti di lui, come ha più volte raccontato, su Avvenire, il giornalista Nello Scavo, che da Bija è stato minacciato al punto da dover essere posto sotto tutela. Anche in Italia, proprio così, perché è evidente che il maggiore al-Milad nel nostro Paese ha un suo peso e probabilmente una qualche forma di influenza. Ancora avvolto nel mistero, infatti, rimane il suo soggiorno in Italia, nel 2017, insieme alla delegazione libica che partecipò ad alcuni incontri ufficiali con le autorità italiane, in particolare a un meeting presso il ministero dell’Interno, all’epoca guidato da Marco Minniti. Un altro punto oscuro in un rapporto, quello tra Italia e Libia, sempre più solido, in nome di interessi economici e del contrasto all’immigrazione dal Paese nordafricano verso l’Europa. Contrasto non al traffico, però, ma agli esseri umani.

Se è vero che l’Italia ha speso centinaia di milioni di euro per finanziare queste operazioni, con la formazione di uomini e la dotazione di motovedette per consentire alla Libia di fermare i migranti e ricondurli nei lager, come quello di Zawyah, gestito da Osama al-Kuni Ibrahim. Un uomo basso, stempiato e violentissimo. Il più violento. Lui e i suoi scagnozzi sono infatti indicati come i più feroci torturatori e assassini di migranti. Due anni e mezzo fa (ne avevamo parlato qui), la procura di Agrigento e la Dda di Palermo avevano arrestato, a Messina, tre trafficanti di esseri umani al soldo del loro capo, cioè Osama. Nel provvedimento di 35 pagine e negli atti, si potevano leggere le torture tremende, le condizioni disumane, la violenza raccontata dalle vittime. E si potevano anche leggere i nomi di alcuni torturatori: Mahmoud, Ahmeda, Mohamed “Suarez”, Bengi e altri. Queste sono le squadre, le milizie che fanno da sfondo al potere e ai rapporti di Bija e alla Guardia Costiera libica alla quale abbiamo dato soldi e ringraziamenti. Per che cosa? Per fare il lavoro sporco, per fermare i migranti senza avere cura del rispetto dei diritti umani e della vita.

Qualcosa di cui non è possibile sorprendersi, visto che l’Italia sa benissimo che la Libia non ha mai aderito ad alcuna Convenzione internazionale in materia di diritti umani. E lo sanno anche l’Onu e l’Oim, che in Libia, vicino ai centri di detenzione hanno anche i loro presidi, ma che da anni non riescono a strappare i migranti da quel destino sanguinoso che si compie sotto i loro occhi, come dimostrano le testimonianze di alcuni naufraghi che, sbarcati in Italia, hanno denunciato la violenza subita. Nell’ex base militare di Zawyah, il feudo di Osama e Bija, quella “vicina al mare, con il muro alto e il cancello blu che conduce all’inferno”, tre migranti sudanesi che si erano lamentati con l’Oim (che lì poteva accedere) per le violenze subite dalle guardie, sono stati poi ammazzati di botte da un carceriere, anch’egli sudanese. Ecco i racconti di chi ha denunciato. Ecco il segno dell’impotenza di Onu e Oim. Ecco il segno dell’indifferenza dell’Italia, che continua a trattare con queste milizie, con questa Guardia Costiera, con la Libia.

Forse per un sotteso potere di ricatto libico, che va ben oltre il via libera ai migranti. O forse perché il peso politico dell’immigrazione ha un valore molto più alto della democrazia, dell’umanità, del rifiuto di logiche di sterminio nei confronti di masse di esseri umani disperati. Resta il fatto che i soldi alla Libia arrivano ancora, che gli accordi sono stati rinnovati dal governo Conte 2, che verranno rinnovati ancora, visto l’apprezzamento espresso da Draghi ai libici per il lavoro svolto. Lavoro o meglio affari, che consistono nel far partire i barconi, lasciando che i trafficanti guadagnino, per poi soccorrere gli stessi barconi e riportare le persone nei lager, in modo da far ricominciare il business e da poter avere ancora altri soldi dagli stessi migranti per altri viaggi. Ma non è solo questo, perché le milizie dei trafficanti controllano anche i porti e le aree petrolifere.

Armi e petrolio e chissà che altro. Considerato che Bija è un maggiore della Guardia Costiera ed è stato liberato dopo pochi mesi, segno che la Libia lo considera importante, forse il governo italiano dovrebbe dare un segnale, dovrebbe tirarsi fuori da questo rapporto perverso. Ma non lo farà. La ragione probabilmente è nascosta dietro le porte buie delle diplomazie e dei servizi di sicurezza. D’altra parte in tutta la vicenda di Bija ci sono punti oscuri. Come scrive sempre Nello Scavo su Avvenire, “i misteri di Bija non sono pochi. E non sono neanche pochi quanti in Italia temono che possa vuotare il sacco. Ricatti incrociati che il miliziano guardacoste ha saputo fino ad ora padroneggiare”. In tutto questo si inserisce poi una inquietante coincidenza: la liberazione di Bija appena una settimana dopo l’incontro istituzionale tra Italia e Libia, a Tripoli. Il destino spesso sa essere beffardo o provocatorio.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org