“L’uomo deve camminare col viso rivolto al sole in modo che questo, bruciandolo, lo segni della sua dignità. Se l’uomo abbassa la testa, perde questa dignità”. (Ernesto Rafael “Che” Guevara de la Serna)
10 marzo 1952 – con l’appoggio fondamentale della Casa Bianca di Washington si instaura, con un colpo di Stato, la dittatura nell’isola di Cuba del sergente Fulgencio Batista.
26 luglio 1953 – Nasce all’alba il “Día de la Rebeldía”, con il fallito assalto alla caserma “Moncada” a Santiago di Cuba. In quei giorni di luglio a Cuba si festeggia il carnevale, ma il 1953 è anche l’anno del centenario della nascita di José Martí, poeta e rivoluzionario cubano fondatore del Partito Rivoluzionario cubano nel 1892, una vita spesa per la dignità e l’indipendenza di Cuba dalla Spagna prima e contro gli interessi degli Stati Uniti poi. Fu lui a definire gli USA il “Golia delle Americhe”. L’attacco alla Caserma Moncada, portato da un gruppo di uomini guidati da Fidel Castro, fallì ma per un intero popolo divenne il simbolo della ribellione e diede il nome al movimento rivoluzionario “Movimiento 26 de Julio” che, il 1° gennaio 1959, scrisse la parola fine al regime di Batista.
Quel primo giorno dell’anno 1959, Cuba si riprende la sua dignità, il suo corpo e la sua anima da troppo tempo schiacciate sotto il peso del tallone a stelle e strisce e riprende a danzare con la vita. Gli USA, cui non bastava controllare tutto quello che per Cuba rappresentava una ricchezza, dal petrolio alle miniere, dalle centrali elettriche alla produzione della canna da zucchero, si erano presi anche l’anima trasformando l’isola nel loro bordello, dove ogni tipo di affare era lecito. Un Paese stremato e umiliato nell’anima e nel cuore, affamato e sfruttato dalla grande potenza americana.
La storia di Cuba è antica, merita rispetto. Si intreccia inevitabilmente con il continente africano da cui arrivarono migliaia di schiavi, in particolare dall’Africa subsahariana, a partire dai primi anni del 1500 e per oltre tre secoli. Ed è proprio con la liberazione degli schiavi voluta da Carlos Manuel de Cespedes nell’ottobre del 1868 che nasce la prima Repubblica Cubana libera. C’è, nella bellezza di Cuba, quella perenne lotta contro ogni dominazione, ogni forma di coercizione sociale e politica, esercitata da potenze straniere: la Spagna, gli USA. E allora le figure di uomini come Carlos Manuel de Cespedes prima e di Josè Martì poi, diventano la costante di un popolo che nel “Movimiento 26 de Julio” troverà la strada per restituire Cuba ai cubani.
È la storia, semplicemente. Fidel e Raul Castro, Ernesto Guevara, Camilo Cienfuegos: nomi che gli USA e gran parte del mondo occidentale non riescono proprio a riconoscere e ad accettare. Così come non riescono ad accettare quel grido di liberazione e dignità che una piccola isola caraibica urla in faccia al mondo occidentale, rinchiuso nel guscio malato e perverso di un potere economico e politico che non sa guardare oltre il proprio giardino.
E il mondo occidentale reagisce con “el bloqueo”, l’embargo commerciale, economico e finanziario, imposto dagli USA ma accettato passivamente da tutti, che nasce ufficialmente nel 1962 ma che era in incubazione dal giorno stesso della fine del regime di Fulgencio Batista. È il “Proclama 3447“ del presidente Kennedy, che impone l’embargo su ogni tipo di scambio. Sono passati 59 anni da quel 1962 e quel “bloqueo” è ancora vivo e, ancora, soffoca il popolo di Cuba. I muri resistono e vanno oltre il “Checkpoint Charlie” di Berlino, resistono alla guerra fredda e ai presidenti che cambiano, resistono anche alle pandemie che stracciano vite come fossero pezzi di carta. Resistono perché il virus del potere, economico e militare e quindi sociale, è il virus più antico del mondo: muta nella forma e mai nella sostanza. E la sostanza ha la faccia e il nome di tutti i presidenti USA che si sono succeduti in questi sessant’anni, perché è nello studio ovale della Casa Bianca che il muro contro Cuba è stato costruito e nessuno ha mai pensato davvero di abbatterlo.
Barack Obama lo ha criticato, ma nulla di più. Donald Trump lo ha inasprito ulteriormente aggiungendo centinaia di ulteriori sanzioni, fra cui il blocco navale che impedisce forniture di petrolio e, infine, Joe Biden ha dichiarato che “il blocco a Cuba non è una priorità” per la Casa Bianca. Eppure, Cuba ha saputo resistere al bloqueo, ha saputo restituire dignità ad un popolo intero. Facciamo un gioco: quanti Paesi avrebbero saputo resistere per decenni ad una forma di embargo così totale come quella cui è stata sottoposta Cuba? Quanti Paesi avrebbero mantenuto quell’unità sociale e collettiva senza arretrare di fronte al ricatto economico e politico?
Nell’ultima settimana del marzo 2021 Cina, Azerbaigian e Stato di Palestina a nome del Movimento dei Paesi non allineati, hanno presentato al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU una risoluzione sulle ripercussioni negative delle sanzioni economiche applicate da alcuni paesi ad altri. È la Risoluzione A/HRC/46/L.4. Fra i Paesi che subiscono queste sanzioni c’è anche Cuba, oltre a Venezuela, Siria, Iran. 30 i voti favorevoli dell’assemblea, 2 astenuti e 15 voti contrari: Austria, Brasile, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Isole Marshall, Paesi Bassi, Polonia, Corea del Sud, Ucraina, Regno Unito e… Italia. Compagnia nutrita, a cui l’Italia non ha voluto e saputo sottrarsi, perché la dignità è sì una cosa importante ma non quanto sedersi al tavolo con il potere che conta e, soprattutto, non si può votare contro la volontà USA.
Amaro, come amare e ipocrite risuonano oggi, a un anno di distanza, le tante e belle parole spese per ringraziare il governo cubano che inviò in Italia decine di medici della Brigata Henri Reeve per aiutare i medici italiani nella lotta al coronavirus. Ma non si tratta solo di volgare ingratitudine, quel voto contrario è uno schiaffo ad un popolo intero che ha scelto con coraggio una strada di indipendenza e di libertà. Quel voto contrario è un insulto a Carlos Manuel de Cespedes che liberava gli schiavi e a Josè Martì, quel voto è uno schiaffo alla storia e a quel “Día de la Rebeldía” che la storia l’ha scritta e vissuta sulla propria pelle.
Lo splendido lungomare dell’Avana è stato invaso, nei giorni scorsi, da un’imponente carovana di protesta che gridava contro l’ingiustizia del “bloqueo”. Vecchie auto, motorette e biciclette, e quelle mille bandiere cubane che sventolavano ferite, ma libere e orgogliose. Quell’immagine ha fatto il giro del mondo, ma il mondo ha girato lo sguardo da un’altra parte, come fa ogni volta che un’immagine disturba e costringe il mondo a guardarsi allo specchio. Ernesto Guevara, “il Che”, diceva: “Soprattutto sappiate sentire sulla vostra guancia lo schiaffo dato a qualsiasi guancia di un uomo…è la qualità più alta di un essere umano”. Ecco, la dignità degli uomini e dei popoli si misura anche da come si vive uno schiaffo, quando si riceve e quando si dà agli altri in nome della colpevole sudditanza verso il potente.
Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org
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