L’appuntamento annuale con la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno, organizzata dall’associazione Libera guidata da Don Luigi Ciotti, ha ottenuto, come sempre, una grande risposta da parte dei cittadini, delle associazioni e anche di importanti figure istituzionali. Nonostante il periodo storico sia tra i più difficili e impedisca, di fatto, manifestazioni fisiche, tantissima gente ha voluto comunque ricordare le ben 1031 persone, vittime innocenti della violenza mafiosa. Persone che hanno pagato col prezzo più alto l’amore per la giustizia, ma soprattutto per la verità: giornalisti, politici, forze dell’ordine, magistrati, sacerdoti, gente comune la cui unica colpa è stata non voler piegarsi al cospetto di un potere mafioso ostentato con le minacce, le intimidazioni e purtroppo con il piombo.
Come vi avevamo anticipato due settimane fa (leggi qui), quest’anno, in occasione della giornata svoltasi il 21 marzo, Libera, in collaborazione con Avviso Pubblico e Rai Per il Sociale, ha voluto promuovere diverse iniziative locali realizzate nei luoghi di cultura italiani, dando voce e spazio proprio ai lavoratori del settore cultura, ormai fermi da quasi un anno perché senza un lavoro. Tali iniziative, svoltesi in diverse città e nel rispetto delle norme anti-Covid, hanno cercato di unire e combinare il ricordo delle vittime di mafia con le sofferenze e le difficoltà di chi oggi rischia di non avere un posto nel mondo a causa della pandemia. Non solo: riaprire quei luoghi di cultura da troppo tempo chiusi è sì un segnale di speranza, ma ha soprattutto un significato sociale ancora più importante.
La cultura, infatti, genera sapere e consapevolezza, promuove libertà. Valori utili nella lotta alla sottocultura mafiosa, alla corruzione serpeggiante e invasiva (specie in tempi di crisi come quelle attuali). Un popolo che riflette, che pensa e che sa è un popolo che può difendersi da tutto ciò che è il mondo mafioso. La cultura produce un terreno migliore e più fertile per le generazioni presenti e future. La pensano esattamente così anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e Papa Francesco.
Gli appelli e i messaggi lanciati da due delle cariche istituzionali più alte non sono passati inosservati, a dimostrazione che il fenomeno mafioso è ben lungi dall’essere definitivamente risolto. “Estirpare le mafie è possibile e necessario – ha affermato Mattarella – . L’azione di contrasto comincia dal rifiuto di quel metodo che nega dignità alla persona, dal rifiuto della compromissione, della reticenza, dell’opportunismo”. “Solo quando le organizzazioni criminali – ha continuato il Capo dello Stato – verranno estirpate dai nostri territori, potremo dire di aver onorato davvero la memoria di tutte le vittime di mafia” e per far ciò è importante che lo Stato “faccia sentire che c’è, specialmente oggi, con l’emergenza economica aggravata dalla pandemia”.
“Le mafie sono presenti in varie parti del mondo e, sfruttando la pandemia, si stanno arricchendo con la corruzione”, ha tuonato, nel corso dell’Angelus, Papa Francesco. Le mafie – ha affermato il Pontefice – sono “strutture di peccato, contrarie al Vangelo di Cristo” e per questo “oggi facciamo memoria di tutte le vittime e rinnoviamo il nostro impegno contro le mafie”. Lo stesso Don Ciotti, presidente di Libera, ha voluto concludere la giornata con un suo pensiero, col pensiero di chi giorno dopo giorno affronta una guerra che sembra interminabile: “Il male non è solo di chi lo commette, ma anche di coloro che sanno, guardano e lasciano fare. C’è il rischio di una normalizzazione della mafia, e questo non possiamo permetterlo”.
No, non possiamo proprio permetterlo. Perché non lo merita chi ha già pagato con la propria vita questo meccanismo distruttivo. Non lo meritano i parenti e i familiari delle vittime. E non lo merita chi ancora oggi, ogni giorno, combatte sul campo per provare a difendere il Paese e le istituzioni dall’oppressione delle mafie.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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