«Ma tu non hai video di quegli anni?». «No, figurati. Mica avevamo i cellulari di oggi». Già, non ce li avevamo. In realtà io e Stefano parlavamo di una quindicina di anni fa, neanche venti, eppure avevamo il piglio, al telefono, dei settantenni che cercano di ridare colore a ricordi consegnati al bianco e nero. Ma ce li ho bene in testa gli anni dei concerti. Suonavamo nei pub, suonavamo tantissimo. Poi le piazze. I concorsi. Le piazze più grandi. I palchi più grandi divisi con i 24 Grana, i Tinturia, i Dounia, Teresa De Sio, i Radiodervish e tanti, davvero tanti altri. Facevamo i concerti e andavamo ai concerti, quasi ogni sera. Di tutti i palchi e di tutti i musicisti, di tutte le serate e di tutte le note, ricordo ancora bene, oggi, l’energia della Bandabardò. Volevamo riuscire a trasmettere quella stessa energia già quando facevamo il soundcheck, un’energia che sarebbe stata capace di veicolare magnificamente i messaggi che volevamo trasmettere.
Al punto da prendere un pezzo della Banda e farne una cover, noi che fuggivamo le cover come le birre analcoliche. Era il cerchio del nostro tiro a segno, l’obiettivo del nostro futuro: diventare come la Bandabardò. Non ce lo dicevamo, con Stefano, ma lo sapevamo. Poi smettemmo, quasi improvvisamente, col broncio sui volti di tutti e sei, il broncio di chi litiga senza inquadrare un vero motivo, portandoci però addosso l’idea romantica, e quasi vera, di aver vissuto un solo giorno, come le rose. Il ricordo di quei giorni, con la ricerca di quell’energia, lo abbiamo in qualche modo riportato in vita per telefono appena scoperto della morte di Enrico Greppi, meglio noto come Erriquez, il frontman della Bandabardò. Una strana sensazione ci ha afferrato le caviglie quando lo abbiamo letto sui social. È stato come staccare il filo a un aquilone nell’istante di un’improvvisa folata di vento. Assistere a un pezzo della vita che vola via, senza la possibilità di riacciuffarlo, e cercare poi di commentarlo per telefono, tirando fuori la scatola nera di concerti che stavano quasi per sparire, sepolti dalla somma degli anni.
Perché non abbiamo video di quel luccicante periodo. Abbiamo foto, soprattutto dell’ultima parte, di quando facevamo i teatri, quando ci muovevamo con una compagnia. Avevamo qualche fotografo con noi, era naturale. Ma gli anni delle piazze, delle Feste dell’Unità, dei raduni universitari… Quelli li abbiamo consegnati a una memoria che di digitale non ha nulla. Una memoria che si distorce con la facilità delle banconote in tasca. Ho ascoltato un’intervista, di recente, in cui Erriquez spiegava quanta fatica devono affrontare le giovani band di qualità in questo momento storico, sottolineando poi quanto sia importante, e necessario, mettere al servizio degli altri l’esperienza accumulata da professionisti come lui, e mi sono ricordato adesso di quelle parole, soffiando via la polvere da quei concerti degli anni 2000. È un mondo molto diverso, questo che viviamo, da quello della folgorazione di “Arezzowave”, o di Faber a “Musicultura”. È un mondo veloce, velocissimo, in cui la fruizione passa giocoforza dai social prima che da un pub, e questo otto volte su dieci mette in croce il talento.
Tante volte mi sono chiesto cosa sarebbe stato, oggi, di quella band che portavamo in giro senza avvertire la fatica dei chilometri. Cosa sarebbe stato con i cellulari e lo loro dirette video, i social, i post, gli eventi. Ricordo che credemmo di avere trovato la Mecca quando qualcuno pensò di occuparsi di noi, della promozione, perché non avremmo più dovuto stampare locandine e portarle in giro per le città: oggi le locandine non le stampa più nessuno. Nei pub magari si suona, ma non come prima. Non ha lo stesso significato, non può averlo. Ne conviene che non può tornare quel periodo della Banda, e questo potrebbe essere giusto, fa parte dell’evoluzione, dei percorsi di crescita, dello scorrere del tempo, e di tutta quella necessaria retorica che ci fa guardare indietro con nostalgia. Ma abbiamo l’obbligo di evidenziare, di fronte a tutto questo, le gravi mancanze di punti di riferimento: non so se noi saremmo diventati come la Bandabardò, non so se saremmo riusciti ad andare oltre i riconoscimenti sui palchi accanto a Vázquez Montalbán o a Giorgio Conte, ma so che lì ci siamo arrivati anche grazie a loro.
Come noi è probabile che tanti altri abbiano portato avanti un progetto su questa spinta, che siano riusciti a veicolare messaggi, che abbiano realmente arricchito il panorama artistico e culturale, e che magari continuino a farlo. Viene da chiedersi, quindi, se non sia il caso di aprire una articolata riflessione di fronte alla possibilità di mettere in evidenza il talento al di là delle facili e velocissime vetrine offerte dal web o dalla tv; se non sia il caso di puntellare quel poco di reali opportunità che sono rimaste in questo paese rivolte a chi può davvero essere considerato un artista, una fonte di ispirazione per tanti. Non possiamo sapere, oggi, se la Bandabardò nel 2021 avrebbe sortito lo stesso effetto che ha sortito venti anni prima, ma possiamo ragionevolmente affermare che sarebbe improbabile.
La morte di Erriquez, quindi, se da un lato ci rende tutti un po’ più poveri, dall’altro ci offre ancora un’opportunità: “Chi accumula esperienza è pregato di farne qualcosa”, ha detto sorridendo e rivolgendosi a chi come lui è riuscito a rendere concrete le proprie capacità, ricordando quanto fatto per alcune giovani band. Ecco: la speranza è che l’eco di queste parole continui a vibrare nel tempo, come la sue note continueranno ad animare le casse. Noi possiamo solo chiederci se Succederà.
Seba Ambra -ilmegafono.org
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