Lo scorso 2 novembre, i giornalisti di ogni parte del mondo, le diverse testate d’informazione e gli addetti al lavoro del settore hanno aderito, come di consueto, alla Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti. Lo scopo di questa ricorrenza, indetta dall’Onu nel 2013, è quello di combattere un’impunità dilagante nei confronti di tutti quei crimini commessi contro i giornalisti e contro chi fa informazione. Dal 2006 ad oggi, infatti, sono stati oltre 1200 i giornalisti uccisi per aver svolto con caparbietà ed estrema dedizione il proprio lavoro; a questo si aggiunge il dato ben più preoccupante che vede 9 casi su 10 essere ancora irrisolti.
Criminalità impunita, appunto. Il problema connesso ai rischi legati al giornalismo e all’informazione non è certamente cosa nuova e l’Italia, da questo punto di vista, non può certamente ritenersi immune: basti pensare agli attacchi rivolti ai cameraman e agli operatori nel corso delle ultime proteste avvenute in tutta Italia contro le misure attuate per arginare la pandemia. Una vera e propria caccia al giornalista ingiustificata che dimostra disagio sociale e disprezzo per la verità.
Per non parlare, poi, dei numerosi cronisti costretti a vivere in perenne anonimato o costantemente scortati; e di tanti altri che, ogni giorno, subiscono calunnie, intimidazioni, veri e propri attacchi alla propria incolumità e a quella dei propri cari. Il trend, comunque, è in continuo peggioramento in Europa e un po’ in tutto il mondo: solo nel Vecchio Continente, negli ultimi 5 anni, sono stati assassinati ben 28 reporter. Tra questi, ovviamente, non possiamo dimenticare il caso eclatante legato al barbaro assassinio di Daphne Caruana Galizia, eccellente giornalista maltese fatta fuori per aver scoperto intrighi illegali di diversi esponenti politici nazionali. Così come non possiamo dimenticare l’omicidio del giornalista slovacco Jan Kuciak, assassinato insieme alla propria fidanzata nel 2018, per aver scoperto frodi fiscali realizzate da alcuni uomini d’affari in combutta con la ‘ndrangheta calabrese.
E ancora: Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato dell’Arabia Saudita ad Istanbul; Anna Politkovskaia, uccisa nel 2006 perché con le sue inchieste sul conflitto in Cecenia era risultata troppo scomoda per la Russia di Putin; Julian Assange, da anni ormai in attesa di essere estradato e processato dal Regno Unito. Ecco, soprattutto quando casi gravi accadono in Europa, in quella che è la culla della democrazia, dell’illuminismo, del diritto, ogni speranza sembra svanire. A volte ci sembra che cose del genere possano accadere soltanto in certe parti del mondo da sempre difficili, in perenne stato di instabilità, dal precario equilibrio sociale e politico, come il Messico (altra nazione con un elevatissimo numero di giornalisti uccisi), o alcune aree del Medio Oriente, dell’Asia e dell’Africa segnate da contesti illiberali.
Alla luce di ciò, insomma, pare evidente come una maggior attenzione debba essere posta da parte di tutti gli Stati membri affinché i giornalisti vengano tutelati maggiormente, ma soprattutto affinché una cultura del vero, del giusto, dell’informazione nuda e cruda venga instillata il più possibile tra la gente comune. A tal proposito, la Rai, proprio in occasione della ricorrenza, ha deciso di proiettare sulla propria facciata di viale Mazzini un lungo, triste elenco contenente tutti i nomi dei giornalisti uccisi in questi ultimi anni. È poco, certo, ha un valore più simbolico, ma è comunque un segnale di solidarietà, di vicinanza e soprattutto di memoria nei confronti di chi ha pagato con la propria vita il proprio senso del dovere e il proprio rispetto per la verità.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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