Negli ultimi decenni, l’Unione europea ha messo in atto un’ampia gamma di normative ambientali. Di conseguenza, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo rispetto al passato ha conosciuto una riduzione. La legislazione sui prodotti chimici è stata modernizzata e l’uso di molte sostanze tossiche o pericolose è stato limitato. Oggi i cittadini dell’UE godono di una delle migliori qualità dell’acqua al mondo e oltre il 18% del territorio dell’Unione è stato designato come aree protette per la natura. Nonostante questo, però, c’è ancora molto lavoro da fare per fare sì che gli obiettivi fissati sei anni fa siano del tutto raggiunti. Si tratta innanzitutto di osservare noi stessi in rapporto al mondo che ci circonda, di comprendere profondamente che qualcosa ci è sfuggito di mano e di conseguenza che bisogna modificare anche le proprie piccole abitudini quotidiane per superare molte sfide che non ci permettono di evolvere e che devono essere affrontate insieme in modo strutturato.

Il 7 ° programma di azione per l’ambiente (PAA) ha guidato la politica ambientale europea fino al 2020. Al fine di dare una direzione più a lungo termine, era già stata definita una visione che andasse oltre quest’anno, la quale descrive come sarebbe stata l’UE entro il 2050: “Nel 2050, viviamo bene, entro i limiti ecologici del pianeta. La nostra prosperità e il nostro ambiente sano derivano da un’economia circolare innovativa dove nulla viene sprecato e dove le risorse naturali sono gestite in modo sostenibile e la biodiversità è protetta, valorizzata e ripristinata in modi che migliorano la resilienza della nostra società. La nostra crescita a basse emissioni di carbonio è stata a lungo disaccoppiata dall’uso delle risorse, stabilendo il ritmo per una società globale sicura e sostenibile”.

Una visione nei fatti alquanto lontana se si pensa, per fare qualche esempio che riguarda i comportamenti quotidiani, a tutti quei ristoranti che buttano via il cibo avanzato, ai centri commerciali che lasciano luci accese di giorno e di notte o, senza andare troppo lontano, a tutte quelle persone che lasciano l’auto accesa  per tenere l’aria condizionata attiva mentre aspettano qualcuno fermi. Piccoli gesti sbagliati che portano ad allontanarci da un grande obiettivo comune. La descrizione del nostro pianeta nel 2050 potrebbe somigliare a quella fatta all’interno della sezione “obiettivi per il 2020” presente sul sito dell’UE, solo se da questo momento in poi si cominciasse a compiere più azioni per raggiungere i tre obiettivi chiave da realizzare entro quest’anno: proteggere, conservare e valorizzare il capitale naturale dell’Unione; trasformare la produttività delle aziende dell’UE in economie a basse emissioni di carbonio efficienti sotto il profilo delle risorse naturali, sostenibili e competitive; salvaguardare i cittadini dell’Unione dalle pressioni e dai rischi legati all’ambiente per la salute e il benessere.

Uno degli espedienti che ha permesso di accelerare il raggiungimento di parte di questi obiettivi, soprattutto per quanto riguarda il terzo punto, è stato in questo ultimo anno l’aumento dei lavoratori da remoto. Come emerge, infatti, dal rapporto annuale Istat, la quantità di remote worker è passata dal 12,6% di marzo al 18,5% di aprile e l’Istituto di statistica rende noto che, nell’ultimo mese, è stata registrata un’ulteriore crescita. Il numero potrebbe addirittura raddoppiare: “La stima dell’ampiezza potenziale del lavoro da remoto, basata sulle caratteristiche delle professioni, porta a contare 8,2 milioni di occupati (il 35,7%) con professioni che lo consentirebbero”, si legge nel report. “Si scende a 7 milioni – continua il report – escludendo le professioni per le quali in condizioni di normalità è comunque preferibile la presenza sul lavoro (ad esempio gli insegnanti)”.

L’Istat evidenzia che, nonostante in Italia l’organizzazione del lavoro sia ancora rigida, “l‘esperimento dello smart working, bruscamente accelerato dall’emergenza sanitaria, ha messo in evidenza le potenzialità dello strumento, al netto delle criticità legate all’ampio divario digitale che caratterizza il Paese, alle cautele legate agli squilibri tra lavoro e spazi privati” e, aggiungeremmo, all’indebolimento degli spazi sindacali e alla mancanza di leggi e regolamenti che possano tutelare i lavoratori.

Questo dato è significativo per l’attuazione del programma “Sustainable Mobility” redatto dal Green Deal europeo per quanto riguarda la riduzione degli spostamenti quotidiani superflui (da casa al luogo di lavoro) e la conversione al digitale di moltissime persone. È possibile inserire l’aumento dei lavoratori da remoto come un fattore aggiuntivo ai quattro denominati con il termine “abilitanti”: migliorare attuazione della legislazione; selezionare informazioni di qualità per migliorare la base di conoscenza informatica generale della popolazione; investire sempre più saggiamente per migliorare l’ambiente e la politica climatica; assicurare piena integrazione dei requisiti e delle considerazioni ambientali anche in altre politiche. Questi fattori contribuiranno ad aiutare l’Europa a raggiungere e mantenere la realizzazione degli obiettivi.

Due ulteriori obiettivi prioritari orizzontali completano il programma trattato. Per rendere le città dell’Unione Europea più sostenibili occorre ancora aiutare l’Unione ad affrontare le sfide ambientali e climatiche internazionali in modo più efficace. I soggetti e le organizzazioni non governative (ONG) sono infatti legittimati dalla direttiva sulla responsabilità ambientale a segnalare ogni tipo di danno ambientale, o minaccia imminente di danno, agli organismi pubblici designati, nonché a inoltrare un ricorso contro l’azione o inerzia di un organismo pubblico al fine di prevenire e porre rimedio ai danni ambientali.

Il “Programma d’azione per l’ambiente” è stato presentato nel gennaio 2014. Spetta ora alle istituzioni che fanno parte dell’UE, a tutti i settori degli Stati membri, ma soprattutto al senso civico dei singoli cittadini, garantire che venga attuato questo programma, che vengano regolamentate le leggi sul lavoro da remoto per evitare che vengano desindacalizzati i lavori che non hanno un luogo fisico e che gli obiettivi prioritari fissati non ancora raggiunti vengano rideterminati, per iniziare a indirizzare azioni pratiche verso il loro raggiungimento.

Federica Formica -ilmegafono.org