Il dibattito politico di questi ultimi giorni si è acceso su un fatto di cronaca che con la politica ha poco a che fare. La vicenda di Bibbiano è diventata l’occasione per passerelle e per resuscitare il peggio della propaganda e del bestiario social. Ma mentre i due vicepremier sbraitano come due sciacalli fuori zona e il popolo si distrae e si rotola nell’odio, ci sono fatti molto importanti che passano in secondo piano. Quasi in silenzio, come notizie di poco conto. Eppure si tratta di fatti che dovrebbero provocare reazioni, indignazione, proteste. Nulla di tutto ciò. La strategia della distrazione ha funzionato ancora. Dietro la sagoma gigante di Bibbiano, sono scomparsi o si sono scoloriti il caso Siri, l’arresto del sindaco leghista di Apricena (Foggia), le dimissioni di Cantone dall’Anac, le imbarazzanti relazioni con i russi. Il popolo, o buona parte di esso, è caduto ancora nella trappola.
Gli italiani si scatenano su Bibbiano, ma tacciono su tutto il resto, su fatti molto gravi e importanti per quel che riguarda la tenuta e il funzionamento della democrazia. Prendiamo la vicenda Siri, ad esempio. L’accusa pesantissima di essere il punto di congiunzione tra la politica, il governo e un faccendiere legato a un imprenditore che a sua volta sarebbe legato al boss di cosa nostra, Messina Denaro. Le ultime intercettazioni parlano di ingerenze nell’assegnazione di ruoli di governo, di “pagamenti” alla politica, di capacità di bloccare e modificare normative per tutelare interessi illeciti. In un Paese normale, su questo caso si scatenerebbe la bagarre politica, il ministro dell’Interno, di cui Siri è il braccio destro, si sarebbe dimesso. E invece nulla, minimizza il ministro e tacciono i suoi alleati, quelli che un tempo urlavano “onestà, onestà”. Addirittura lo stesso Siri presiede insieme a Salvini un incontro con le organizzazioni sindacali e datoriali sulla Flat Tax.
Grottesco. O meglio dire squallido. Ma Siri non ha i capelli rasta, non salva le persone in mare, non sfida una legge ingiusta per difendere un principio sacrosanto di umanità. E quindi per lui nessun insulto, nessuna accusa da parte del popolo. In attesa di accertare le sue eventuali responsabilità, gli viene concesso persino di parlare di flat tax e di manovre fiscali. Vogliamo parlare del sindaco di Apricena? Il sindaco leghista, arrestato con l’accusa di peculato, abuso d’ufficio e concussione. In pratica, secondo gli inquirenti avrebbe gestito il suo potere creando un comitato d’affari che, per gli appalti, favoriva imprenditori amici. Insomma, la Lega di Salvini, quella che in campagna elettorale prometteva la linea dura, prometteva il cambiamento aizzando il popolo contro i disperati, alla fine è sempre la stessa Lega. Quella dei 49 milioni truffati allo Stato, quella delle ombre sulle infiltrazioni mafiose, quella degli arresti in Sicilia per voto di scambio.
Dovrebbe essere ormai chiaro che cosa sia la Lega, eppure gli italiani continuano a dare fiducia al suo leader, continuano a credere alle sue menzogne, ad apprezzare le sue maniere sguaiate, a non accorgersi dell’assoluta incapacità di andare oltre gli slogan e affrontare razionalmente le questioni. Le bugie dei 5 stelle, le loro contorsionistiche evoluzioni su temi come la Tav o l’immunità parlamentare o i limiti di mandato, sono state riconosciute, sottolineate, capite. E il crollo del consenso, infatti, ne è stato una conseguenza visibile, qualcosa che abbiamo misurato. Ma con Salvini questo non accade. Anzi, il suo consenso cresce. C’è una parte degli italiani che gli crede sempre. Gli hanno creduto anche quando affermava che avrebbe debellato la mafia in poco tempo. E ancora magari gli credono. Malgrado contro la mafia lui e il governo Conte non abbiano fatto nulla. Anzi, hanno modificato in modo molto pericoloso la normativa sugli appalti. E hanno mostrato uno scarso interesse per quel che riguarda la lotta alla corruzione.
Come dimostrano le dimissioni di Raffaele Cantone dall’Anac (Autorità nazionale anticorruzione). Cantone ha affermato che l’Anac rappresenta un patrimonio del Paese, un motivo di orgoglio, ma che non riceve la considerazione che meriterebbe. La replica del governo è arrivata dal ministro leghista, Giulia Bongiorno, che ha risposto a Cantone dicendo che la trasparenza e la prevenzione di pratiche corruttive non possono fermare il Paese, non possono ostacolare rapidità ed efficienza. In poche parole, la lotta alla corruzione va bene, purché non si metta di intralcio con le opere da realizzare. Ecco il valore della legalità ai tempi del governo gialloverde. La legalità esiste fino a quando non rompe le scatole. In tal caso, vada pure a farsi benedire. Tanto non se ne interessa nessuno. Perché non fa notizia e se fa notizia bisogna subito sviare.
Come per il caso Russia. Che si arricchisce di particolari sempre più imbarazzanti, con nuove rivelazioni, come la lettera inviata dall’ambasciatore russo a Salvini per chiedere di fermare le proteste sindacali nell’area industriale di Siracusa, dove opera la Lukoil. Richiesta soddisfatta dal Viminale, che ha invitato la prefettura di Siracusa ad emettere un’ordinanza per vietare manifestazioni e scioperi nell’area delle raffinerie. Ordinanza eseguita e oggi efficace. Ma Salvini a tutto ciò non risponde. Il governo non lo incalza. Fingono di litigare, fingono schermaglie verbali sui social o sulla stampa, poi si accordano su tutto.
In nome di un contratto che non ha alcun valore legale, stanno fottendo il Paese. E il Paese, almeno in parte, sembra contento di farsi fottere, di mostrarsi remissivo e obbedire alle richieste di silenzio così come alle chiamate all’odio e, chissà, un giorno, forse anche alle armi. Contro chi? Contro chi dall’altra parte semplicemente difende la Costituzione, la solidarietà e la decenza.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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