Carola Rackete è libera. La sua scelta di approdare a Lampedusa rispetta pienamente il diritto internazionale, così come la violazione dell’alt imposto dalle autorità italiane (da una motovedetta della Gdf e non da una nave da guerra) si è resa necessaria “per adempiere al dovere di portare in salvo i migranti”. Davanti al Gip, crollano tutte le accuse, come era ovvio per chiunque avesse conoscenza del diritto e delle norme internazionali. Si ridimensiona anche la vicenda del presunto“speronamento”, che non c’è stato come si vede chiaramente dai video, ossia come risulta dalla verità dei fatti, molto diversa dalle allucinate ricostruzioni della propaganda. Insomma, il ministro Salvini, il vicepremier Di Maio, il premier Conte e anche la Guardia di Finanza hanno fatto una figuraccia. Così come l’hanno fatta, ma anche questa non è una novità, i giornali di regime, le penne fasulle e certi direttori narcisisti e menzogneri.

Carola e la Sea Watch hanno vinto. Non solo sul fronte giudiziario, ma anche per quel che riguarda un ambito molto più importante, quello della solidarietà umana. Come dimostrato davanti al giudice, Carola Rackete ha rispettato tutte le leggi e le procedure fino a quando ciò è stato compatibile con le esigenze di soccorso dei naufraghi, quelli scappati da una terra, la Libia, che è un inferno in cui si muore di violenza, di bombe, di torture indicibili. Dopodiché, quando la propaganda becera e immorale di un governo autoritario e razzista ha scelto di giocare sulla vita delle persone a bordo, la Capitana della Sea Warch non ha esitato. Ha scelto. Ha messo in primo piano non se stessa, il suo ego, la sua persona, ma gli esseri umani che aveva sottratto alla morte. Ha scelto di farlo a qualsiasi costo, andando incontro all’arresto e al rischio di perdere la propria libertà.

Carola ha fatto quello che fanno i giusti della storia: amare il prossimo più di se stessi. In un Paese che si professa cristiano e bacia i rosari nelle pubbliche piazze, una ragazza così dovrebbe essere applaudita, ringraziata, aiutata. Invece ha subito l’arresto, le accuse, le minacce di espulsione, gli insulti ignobili. Ma lei non si è scomposta, ha retto il colpo, è andata avanti sapendo di aver agito per quel nobile concetto che è superiore a qualsiasi legge fatta dagli uomini: vale a dire la giustizia. E se per un verso i vigliacchi da tastiera, i mostri al potere, i cagnolini dell’informazione e il popolino ignorante hanno subito uno smacco, c’è anche un altro elemento che Carola Rackete ha messo in evidenza. Ed è qualcosa che riguarda l’altra parte della barricata, quella che in questi giorni ha scelto di schierarsi con lei, in modo più o meno convinto.

La Capitana tedesca ha aperto in Italia uno squarcio che è profondamente politico. Non lo ha fatto di proposito, perché il suo unico scopo era quello di salvare i naufraghi che aveva accolto a bordo. Ma gli effetti della sua azione sono profondi e offrono una occasione storica a questo Paese sempre più abbrutito da un lato e sempre più pigro, per non dire vile, dall’altro. È una lezione politica importante quella che Carola ha impartito a chi in questo Paese si autoproclama opposizione. Non solo al PD ma anche alle forze di sinistra, ad associazioni, realtà territoriali che pensano di essere giuste solo perché organizzano un dibattito, sbrigano pratiche burocratiche o raccolgono fondi per sostenere l’impegno altrui. La lezione di Carola è quella che la storia ci ha già insegnato più volte, ma che continuiamo a dimenticare, forse per una sorta di spirito di autoconservazione e di abitudine alla “delega” che caratterizza il popolo italiano post Resistenza e post ‘68.

Nel Paese nel quale le forme di lotta politica e sindacale si sono ormai parcellizzate o liquefatte o al limite mutate in sterili bagarre sul web, la conquista e la tutela dei diritti hanno perso spinta. Si è smesso, in buona parte, di partecipare concretamente. Partecipare non con la manifestazione sporadica o con le iniziative “a sostegno di”, ma con il proprio corpo e la propria persona, con azioni fedeli a principi inossidabili e superiori al rispetto di leggi palesemente ingiuste. Insomma, Carola ha insegnato a tutti che per difendere dei valori universalmente riconosciuti non bisogna delegare ma fare, bisogna rischiare in prima persona ed essere disposti a pagare sulla propria pelle, con la propria libertà, con i propri diritti. Perché nei periodi bui, l’affermazione del diritto passa dall’agire e dalla solidità delle proprie posizioni, senza moderazioni né accordi al ribasso.  È quello che purtroppo in molti non hanno compreso.

Infuriarsi sui social e poi rimanere rinchiusi nella propria vita quotidiana, mentre i diritti vanno a fuoco, non serve. Né a cambiare le cose né ad esonerarci dalle nostre responsabilità. Salire su una nave e testimoniare vicinanza alla Capitana Carola e poi votare il rinnovo degli accordi sulla Libia con differenziazioni ridicole che non mettono in discussione l’orrore che pre-esisteva allo scoppio della attuale crisi, non serve a niente, è soltanto l’ennesima prova di una ipocrisia che divora le presunte opposizioni (spiegatelo al PD). Così come non serve organizzare sit-in di protesta o raccogliere fondi per la Sea Watch se a ciò poi non segue un impegno vero e quotidiano contro le ingiustizie che altri migranti vivono nel nostro Paese. Un esempio? Quelle aree di sfruttamento e di caporalato nelle quali istituzioni locali, associazioni e sindacati, a parte qualche parata inutile, non hanno fatto nulla di concreto. Non bisogna aspettare la “legalità” di un luogo e le autorizzazioni della burocrazia per cominciare a occuparsi dei diritti negati.

È questa ipocrisia di fondo quella che Carola ha messo a nudo, ma forse qualcuno non se n’è accorto. Qualcuno festeggia (giustamente) una vittoria del diritto, ma dimentica che quella vittoria l’ha dovuta ottenere, insieme al suo equipaggio, una ragazza tedesca, con la sua passione civile, forte, solida, che l’ha portata a mettere la giustizia davanti alla legge ingiusta. E chissà in quanti la capiranno davvero questa lezione. Al momento, osservando commenti e reazioni (e silenzi), mi sia concesso un discreto pessimismo.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org