Mimmo Lucano alla fine non è stato eletto nemmeno consigliere comunale nella sua Riace. Quella Riace dalla quale è stato costretto ad allontanarsi, nonostante non ve ne fosse motivo. Quella Riace che non ha premiato nemmeno la candidata a sindaco della lista di Lucano. Nel comune calabrese ha vinto una lista civica sostenuta anche dalla Lega di Salvini. I detrattori di Mimmo esultano, come se Riace fosse stata liberata da un male, come se quel modello invidiato in tutto il mondo, che ha fatto risorgere un Paese quasi morto, fosse una malattia. Un virus pericoloso non tanto per Riace, quanto per i sostenitori delle frontiere chiuse, per i portabandiera dell’integrazione impossibile, per quella parte della politica, trasversale purtroppo, che agita lo spettro dell’invasione e del rischio sicurezza. Riace doveva morire come modello, perché sbatteva in faccia a tutti, destra e sinistra, la concretezza dei fatti, mettendo a nudo la fragilità della propaganda.
Riace funzionava davvero, era un luogo di integrazione reale, un microcosmo replicabile che mostrava gli effetti benefici dell’immigrazione. Sotto ogni punto di vista. Economico, sociale, culturale. Un luogo nel quale sono rinate le scuole, le attività commerciali e artigianali, un luogo che attirava turisti decisi a vedere con i propri occhi il miracolo di Mimmo “u curdu”. Riace non era più solo la città dei bronzi (che però a Riace non ci sono), non era più solo un buco agonizzante di una provincia calabrese, ma un simbolo. Era diventata la Riace dei diritti e del riscatto sociale, la città che aveva cacciato via la ‘ndrangheta dalla gestione dei rifiuti. Era la Riace che dava speranza, si riempiva di arte e bellezza, di cultura e solidarietà, sperimentava una economia dal basso che aveva allontanato la disperazione e fermato l’emigrazione. Era la Riace che offriva l’immagine di una Calabria che alza la testa. Era la fotografia di un altro mondo possibile, di una alternativa reale, effettiva, realizzabile.
Era e non è più. Perché hanno vinto loro. Gli altri. Quelli che la bellezza la detestano, quelli che pur di nutrire il proprio odio e il proprio consenso sono disposti a distruggere qualsiasi cosa, anche ciò che funziona. Hanno vinto le elezioni. Ma Mimmo non ha perso. Perché si perde veramente solo quando una gara si gioca secondo le regole e quando a tutti vengono garantite le stesse condizioni di partecipazione. Mimmo Lucano non ha perso, semplicemente perché la partita è stata solo una farsa, organizzata per ufficializzare la fine del suo modello. Una fine che da almeno tre anni qualcuno ha progettato a tavolino. Non è un caso che a colpire Riace siano stati due personaggi che sulla retorica dell’immigrazione, del “non possiamo accogliere tutti”, del “rischio sicurezza” hanno costruito la propria carriera politica. Minniti, calabrese, ex ministro dell’Interno, fautore degli accordi con la Libia, primo persecutore delle Ong; Salvini, eletto a Rosarno, ministro dell’Interno, prosecutore dell’opera di Minniti, alla quale ha aggiunto ulteriore ferocia.
Sono stati loro. Prima attaccando Lucano, poi con leggi che hanno ristretto e reso difficili le procedure per la residenza, infine chiudendo i rubinetti. Sì, perché Mimmo Lucano, nella Riace semi-spopolata di un sud povero e isolato, stritolato dalla disoccupazione e dalla carenza di fondi, si è inventato un’economia basata sul credito. Ha istituito una moneta locale, sulla base di un progetto europeo per l’integrazione. Una moneta che sostituiva il denaro, lo anticipava, permettendo di scambiarsi forniture, servizi, beni. E poi, una volta arrivati i soldi, tramite la prefettura, i creditori venivano saldati. Un circuito virtuoso che funzionava. Fino a quando qualcuno non si è messo di mezzo, trattenendo i fondi al ministero, tardando la loro distribuzione a Riace o addirittura, come ha fatto Salvini, bloccandoli del tutto. Contemporaneamente, la magistratura ha avviato indagini risibili, con una struttura di inchiesta piena di strafalcioni, interpretazioni soggettive, conclusioni surreali. Non trovando nulla di illecito, come era ovvio, ma sortendo l’effetto voluto.
Il gioco è semplice, fin troppo semplice, perché ciò che è malvagio conserva sempre tratti di evidente banalità. Si chiudono i rubinetti, si creano disagio e insofferenza tra la gente, che di quei soldi ha bisogno per vivere, nel frattempo si indica il nemico numero uno, ossia il migrante, che di colpo diventa il colpevole pur non avendo alcuna colpa, e infine si fa schizzare il fango su chi ha voluto quel modello e non è capace di rispettare gli impegni. Nonostante a non rispettare quegli impegni siano altri, cioè coloro che siedono in alto, gli strateghi della distruzione. Che se ne restano tranquilli, perché la propaganda serve proprio a questo: far scannare i poveri, creare conflitto tra gli ultimi, evitare che qualcuno alzi la testa, rifletta e si renda conto che il dito va puntato verso l’alto. Verso chi ha bloccato illegittimamente i fondi e mandato in sofferenza persone e famiglie solo per colpire un uomo simbolo di un modello virtuoso.
Un modello che dà fastidio, perché è come quel dito che indica in maniera irriverente che il re è nudo. Anzi, che i re, i tanti sovranucci alternatisi al potere, sono nudi e la loro carne è flaccida e lercia. E il petto è molto meno gonfio e tonico di quel che sembra sotto i vestiti e le felpe del potere. Ecco perché Mimmo Lucano non ha perso. Semplicemente perché non ha potuto nemmeno giocare. Lo hanno fatto scendere in campo da solo contro una squadra intera e un arbitro di parte. Mimmo Lucano non si è trovato dentro un campo di gioco, ma dentro un’arena nella quale tutti volevano la sua fine. A qualcuno piace vincere facile, evidentemente.
Ma sia chiaro che Mimmo non è finito, perché non è solo e mai lo sarà. E soprattutto Mimmo Lucano non ha perso, nemmeno adesso, esule, lontano da una Riace che cercheranno di smontare ancora, di distruggere, di consegnare nelle mani di chi, pur di alimentare odio e menzogne funzionali al potere, è pronto a farla morire ancora di inedia, intolleranza e solitudine. Ma Riace non può scomparire, finché ci sarà chi difenderà i giardini riempiti dai semi di una storia troppo bella per sparire con un colpo di vento. Quello stesso vento che l’aveva riempita di umanità.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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