La rete, un tempo curiosa scoperta, novità epocale che ha allargato gli orizzonti di comunicazione e accorciato le distanze. La rete, i social, le piazze di discussione virtuale ma di confronto che spesso diventa reale, perché concreto è l’odio che genera, così come il carico di bugie che è riuscito a spacciare per verità. La politica stessa, negli ultimi anni, ha privilegiato la rete, si è spostata, ha perfino messo in secondo piano la tv, i salotti, i talk, che sono diventati quasi un corollario o al limite dei luoghi nei quali sintetizzare quello che i protagonisti della politica esprimono in tempo reale sui canali web. Così, maggioranze e opposizioni si sono date battaglia sui social, occupando la scena fra arroganza, tendenze, ironia, satira e violenza. Oggi il mondo lo leggiamo attraverso uno schermo sempre più piccolo e non ci accorgiamo che, oltre quella rete illuminata dalle luci dei display e dai colori delle grafiche, esiste il buio. Un buio che non riusciamo a vedere se non lo attraversiamo con il corpo, con i nostri passi, con gli occhi aperti, sentendo l’odore della povertà, della disperazione, dell’ingiustizia.
Quel buio lo lasciamo chiuso oltre quella rete nella quale abbiamo rinchiuso noi stessi, convinti che basti spegnere un dispositivo per mettere in pausa anche il buio. Fino al giorno dopo, quando qualcuno tornerà a twittare, postare, dichiarare, proporre immagini, commentarle, litigare e poi stop. Tutto rimane lì, chiuso dentro la rete. Insieme a noi. E invece no. Perché il buio oltre quella rete è tangibile, esiste al di fuori di noi, delle distrazioni, dei litigi, dei “segnala” e dei “blocca” che i social ci consegnano per liberarci di chi ci dà fastidio. Il buio rimane ed è pesante, umiliante a volte. Come quello che avvolgeva le stanze fredde di un palazzo romano, uno stabile occupato da circa 450 persone. Tra loro circa 100 minorenni, alcuni in condizioni di salute molto difficili. Niente luce e niente acqua calda. Emarginazione.
Quella di cui dovrebbe occuparsi chi governa la nazione e le città, approntando tutte le soluzioni per garantire uno stato sociale che funzioni e riconosca diritti e tutele per tutti. Ma riconoscere diritti, sanare situazioni di marginalità, si sa, richiede lavoro, fatica, impegno e tutto ciò toglie tempo alla propaganda, alla ossessiva, spasmodica richiesta di consenso e di like. Molto più facile mettere i poveri contro altri poveri, in modo da lasciare che si azzuffino e non disturbino chi nel frattempo è sgattaiolato dalla polvere ed è tornato a blaterare in maniera compulsiva, a giocare o a proporre concorsi imbarazzanti sul web. In quel buio di quel palazzo romano, ci è andato chi ogni giorno si occupa di guardare negli occhi le persone e i loro problemi reali. Come Konrad Krajewski, elemosiniere di un Papa che ha rinunciato ai suoi privilegi e ha scelto di inchinarsi di fronte agli ultimi, di mettersi al loro fianco. Krajewski avrebbe riallacciato la luce di quei palazzi, facendo tornare l’acqua calda, dando la possibilità a quelle famiglie di riscaldarsi e cenare con la luce accesa, guardandosi negli occhi.
La rete, che in quel buio non ci ha mai messo piede, si è riempita subito di accuse, di parole abusate come la “legalità”, pronunciate a vanvera e portate in televisione anche da chi quella legalità l’ha calpestata infinite volte. Il perbenismo falso dei nuovi mostri, quelli che si indignano, quelli che fanno la guerra alle occupazioni abusive ma non sono capaci nemmeno di far rispettare le assegnazioni legittime e di difenderle dalle minacce di mafiosi e volgari teppisti vestiti di nero. La legalità ha un valore diverso, a seconda che si viva dentro o fuori la rete. Su post e tweet puoi sentirne parlare ovunque, puoi leggere, in questo come in tanti altri casi, gli accorati appelli al rispetto delle regole, conditi da slanci di patriottismo, spesso autocelebrativi. Sui social sono tutti legalitari, tutti integerrimi, anche mentre ti insultano e commettono circa venti diffamazioni al minuto.
Sono quasi credibili i patrioti della legalità, se non fosse che qualcuno ha condanne alle spalle, altri sono alfieri di partiti a loro volta condannati per aver illecitamente sottratto milioni di denaro alle casse pubbliche, altri ancora sono attivisti di movimenti che hanno persino sede in palazzi occupati abusivamente e senza pagare le bollette. E così via. Loro parlano di legalità disprezzando il gesto di un uomo che ha scelto di ripristinare un diritto, quello a un’esistenza dignitosa che riguarda tutti. Perché la dignità non deve certo tener conto della legge, ma semmai della giustizia e la giustizia spesso ha bisogno di violare le regole per accendere i riflettori su ciò che la nega. Ecco, oltre la rete c’è il buio, ci sono le ingiustizie delle quali si parla tanto ma alle quali nessuno pone rimedio.
Dentro la rete le ingiustizie, anche quando sono evidenti, sembrano invece avere contorni rarefatti, come se fossero prodotto di una fantasia, virtuali anch’esse. Sui social, perciò, capita di leggere le crudeltà più assolute sui migranti, su chi viaggia con i barconi e sulle ong che provano a salvarli. Bastano poche parole per le quali non serve nemmeno molto cervello, un paio di insulti, qualche battuta macabra, la dichiarazione di qualche ministro incosciente e complice e la rete offre il suo giro di discussioni aberranti e di verità false.
Ma uscendo dalla rete quel buio è reale, come le ingiustizie che ricopre. È il buio della notte in mezzo al mare, dove c’è gente che si tuffa per non essere riportata in Libia e nuota fino ad annegare. Nel buio silenzioso degli abissi, mentre la rete continua instancabile con le sue notifiche, i colori, i suoni, l’odio, le bugie. Che resistono anche quando la giustizia le nega, quando dimostra che ad esempio le ong non hanno mai avuto alcun rapporto di complicità con gli scafisti. Il buio è anche quello della libertà di violenza e l’impunità di cui godono i neofascisti, quelli che assaltano una famiglia e terrorizzano una bambina, quelli che attaccano Mimmo Lucano a Roma. Per fortuna però non c’è solo buio oltre la rete. C’è anche tanta luce. Come quella di Krajewski, di Mimmo Lucano e di tutti coloro i quali, con gli striscioni, i megafoni, le loro voci, i cori si oppongono ai tentativi autoritari di un potere rozzo e nocivo. Dentro e fuori dalla rete.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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