Il 14 giugno scorso, Raffaele Cantone, presidente dell’Anac (Autorità Nazionale Anticorruzione) ha presentato alle Camere la relazione annuale su quanto svolto dalla stessa Autorità nel corso del 2017. La relazione assume un’importanza notevole se si pensa che in essa è contenuta ogni tipo di informazione utile all’individuazione dei casi di corruzione, oltre a comprendere le misure necessarie di prevenzione e contrasto a un fenomeno che da sempre pervade il nostro Paese.

I temi trattati nel corso dell’incontro sono stati diversi e tutti di notevole urgenza; la relazione, infatti, si è concentrata su alcuni aspetti fondamentali non solo per comprendere al meglio la situazione attuale, ma anche per analizzare il lavoro che si sta svolgendo per tentare di debellare o comunque ridurre drasticamente il fenomeno corruttivo.

Proprio per questo motivo, si è deciso di affidare all’Anac funzioni ancor più importanti ed efficaci: tra queste vale la pena di citare quelle di regolazione e vigilanza nel settore degli appalti pubblici, una scelta che è sembrata scontata visto che l’ente è nato proprio a seguito dell’ondata di casi emersi durante i lavori per la realizzazione dell’Expo 2015. Questo fa sì che sia un ente ancor più “specifico” a sorvegliare sui casi di corruzione che potrebbero sfuggire alle istituzioni di competenza.

Altro punto importantissimo della relazione è quello dedicato all’analisi degli indicatori di rischio corruttivo. Nello specifico, l’Autorità ha provveduto a confrontarsi con determinate “tipologie di amministrazioni e settori di attività, con l’intento di aiutare le amministrazioni stesse ad adottare apposite misure di prevenzione in relazione alle proprie specificità”; in parole povere, il lavoro svolto ha permesso non solo di individuare nuove aree di rischio (rifiuti, immigrazione e agenzie fiscali su tutti), ma anche di elaborare le misure necessarie e far sì che tali casi corruttivi vengano meno.

Infine, per quel che riguarda gli appalti, l’Anac ha partecipato alla definizione di un vero e proprio “Codice” contenente diverse linee guida e spunti interessanti, che prevedono, tra le altre cose, la realizzazione di un albo dei commissari di gara e la procedura telematica per l’iscrizione delle società partecipanti all’appalto stesso. Tale Codice, sebbene sia ancora nel mezzo di una lunga fase di discussione e di attuazione, porterà senz’altro ad una trasparenza maggiore su tutti i fronti.

Nonostante l’impegno profuso dall’Anac, però, non tutti la pensano allo stesso modo: la procura di Milano, all’interno del Bilancio di Responsabilità sociale presentato nei giorni scorsi, ha infatti criticato l’Autorità per il “ritardo” e le modalità con cui i diversi casi di corruzione vengono trasmessi, definendo tutto ciò come “inutile” ai fini dell’indagine. Un passaggio che ha destato molto scalpore, ma che lo stesso responsabile del bilancio, Francesco Greco, ha voluto successivamente definire come semplice critica “tecnica”.

Al di là di questi aspetti più tecnici, il lavoro svolto lo scorso anno dall’Anac appare positivo in termini di lotta alla corruzione. Il problema semmai è che, su questo tema e su quello del contrasto delle mafie, è il nuovo governo a sembrare piuttosto distratto o perfino assente, come ha fatto notare Addiopizzo, nota associazione antiracket da sempre in campo contro la criminalità organizzata. I referenti dell’associazione lamentano, per l’appunto, una pericolosa assenza del tema della lotta alla corruzione nel programma di governo, ma soprattutto il silenzio che un po’ tutta la squadra dei vari ministri, se si fa eccezione per qualche parentesi retorica e poco sostanziale, ha deciso di porre sulla mafia e sui numerosi casi di estorsione, ponendo, al contrario, l’accento sulla lotta alle Ong e ai migranti.

Lo stesso neo ministro dell’Interno, Salvini, preferisce sparare a zero contro persone innocenti e “colpevoli” di cercare soltanto un punto d’approdo lontano da situazioni drammatiche, e poi tace sul problema criminalità organizzata o su quello della corruzione (e non risponde sulle vicende giudiziarie che riguardano il suo partito). Se la direzione intrapresa è questa, se per il ministro dell’Interno il problema vero dell’Italia è costituito da alcune migliaia di esseri umani, mentre il male causato dalla mafia in un secolo e mezzo di vita non merita neppure una parola, allora forse il lavoro dell’Anac e delle associazioni antimafia rischia di essere vanificato.

A tal proposito, ha fatto bene Addiopizzo a ricordare al ministro Salvini che proprio a Palermo alcuni esponenti  delle cosche mafiose sono stati arrestati grazie alle denunce di diversi commercianti bengalesi che si sono ribellati al pizzo. L’auspicio è che il ministro Salvini possa imparare (ma ne dubitiamo) una volta per tutte che l’onestà non è un valore che appartiene ad alcune nazioni o ad alcune comunità, anche perché, se così fosse, vista la paternità italiana di ben quattro mafie e il nostro livello di corruzione, dovremmo avere paura prima di tutto degli italiani.

Giovanni Dato -ilmegafono.org