“Contrasteremo con ogni mezzo le mafie aggredendo le loro finanze, le loro economie”. Sono bastate tredici parole sulla mafia per far alzare l’aula del Senato e far partire un minuto e quindici secondi di applausi, col premier Conte compiaciuto, tanto da trattenere visibilmente un sorriso. Non so voi, ma a me ha ricordato il sorriso dell’agente federale Eliot Ness, interpretato da Kevin Costner, nella scena finale de “Gli intoccabili”, quando l’avvocato del memorabile Al Capone di De Niro dichiara, in un momento di pesantissimo silenzio, “vostro onore vorremmo ritirare la dichiarazione di non colpevolezza, e dichiararci colpevoli”: tutta l’aula di tribunale applaude e parte la colonna sonora di Ennio Morricone a sollevare gli animi e spingere Ness di fronte a un Capone inferocito che grida “sei solo chiacchiere e distintivo”.
Mancava solo la colonna sonora, lì in Senato, e se ci fosse stata, probabilmente, la presidente Casellati non avrebbe neanche suonato la campanella, dicendo “per favore, non mi pare sia il caso”, mentre le urla dei colleghi si sollevavano in un laconico “fuori la mafia dallo Stato”. Epico. No, non ho intenzione di parlare delle presunte incapacità o capacità del nuovo premier, anche perché credo che siano in pochi a poterlo fare e io di certo non posso essere annoverato fra quelli – di lui sappiamo solo quella storia del curriculum vanitoso e che vuol essere avvocato di tutti. Contro tutti.
Posso però dire due cose in merito al passaggio su cosa nostra di un discorso che è parso retorico quanto basta per non farlo passare alla storia (soprattutto alla luce delle forti parole di Liliana Segre, che sono arrivate in faccia a Salvini come la carezza di un armamento nucleare coreano): la prima è che questa dichiarazione sulla mafia rispecchia in pieno le 8 righe che il “Programma del Governo del cambiamento”, firmato da Salvini e Di Maio, ha dedicato al fenomeno dei mammasantissima, non dicendo praticamente nulla di concreto – che so: obiettivi a breve o lungo termine, dati, possibilità di riforme legislative – ma suscitando nell’uditorio un moto d’onesto orgoglio credibile quanto la vittoria dell’Islanda ai mondiali di Russia. E la seconda è legata al dispiego di retorica da apparato: circola un articolo di Saverio Lodato in merito alla questione, e m’è parso vuoto quanto quella frase che ha strappato 75 secondi di battito di mani in piedi.
Lodato ha parlato di “musica per le orecchie di milioni di italiani”, e c’è da giurare che espressioni del genere, e articoli del genere, popolino il web. Perché non c’è niente di sbagliato nelle parole di Conte, né tantomeno in quelle dello stesso Lodato, solo che, a ben guardare, i conti non tornano. Perché Lodato non si risparmia dal muovere critiche a gente come Paolo Romani o Renato Schifani, che descrive “impietriti” durante l’ascolto del discorso, e ne ha ben donde, perché nel partito dal quale hanno tratto potere pubblico c’è il marchio indelebile di cosa nostra, col cofondatore chiuso dietro le sbarre per concorso esterno in associazione mafiosa.
Solo che non si può non notare un particolare bello evidente, che è quello che ha azzoppato gran parte dei buoni propositi a marchio “onestà” di Di Maio e compagnia cantante: Matteo Salvini, l’uomo che siede alla sinistra di Conte. Perché Salvini, e tutta la pletora che ha portato con sé, composta da ministri, deputati e senatori, nonché sindaci e assessori e presidenti di questo e quello, ha affiancato a lungo (e magari lo farà ancora) gli stessi Romani e Schifani, fino a ieri l’altro, ed è superfluo ricordare che quando quest’ultimo fu presidente del Senato aveva al suo fianco 26 leghisti, con altri 60 a rafforzare dall’altra parte il governo Berlusconi.
Come si fa a passare sopra questo particolare? Per di più Lodato, in seno alla questione mafia, scrive che “un paio di cose, dal discorso in Senato, si sono già capite”, facendo riferimento al no degli italiani a un governo Pd-Forza Italia e citando poi il saggio cinese: “Chi ti dice che questa sia una disgrazia?”. Ecco: se questa non è retorica, l’Islanda vince.
Lodato, in ogni caso, all’inizio del pezzo si chiede se Conte dalle parole passerà ai fatti, e nella chiosa gli riserva l’invito “assai modesto” a passare all’azione. Non può non saltare agli occhi, però, che in mezzo scorre un fiume di retorica, così forte da inondare l’evidenza di un passato che ci ronza ancora nelle orecchie.
Ad esserne travolti, entusiasticamente, sono in già in tanti, col risultato di aver quasi appiattito uno spirito critico per il quale magari in Italia non abbiamo mai brillato negli ultimi trent’anni, ma che ci ha permesso se non altro di far leva, quando necessario, sulla memoria. Quella stessa memoria che appare sempre più soggetta a colpi di spugna a breve termine, con la coerenza che in politica sembra essere divenuta merce scadente senza valore per le urne. Cui prodest?
Seba Ambra -ilmegafono.org
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