L’utilizzo corretto dei beni confiscati alle mafie è attualmente una delle più grandi occasioni di riscatto sociale, soprattutto in zone dove per anni non c’è stata alternativa alla criminalità organizzata. A quasi 21 anni dalla promulgazione della legge 109 del ‘97, che ancora oggi regola la gestione dei beni sottratti al malaffare, possiamo riscontrare una vera e propria rivoluzione culturale. Soprattutto negli ultimi anni, infatti, il numero di beni confiscati dallo Stato e messi a disposizione dei cittadini è aumentato vertiginosamente: dai circa 200 del 2011 agli oltre 2000 del 2017. Un dato fondamentale che attesta il tentativo, su scala nazionale, di dare ai cittadini gli strumenti per ripartire.
In Italia i beni immobili confiscati sono più di 23000 in totale e vengono riutilizzati perché diventino scuole, abitazioni, piccole comunità di lavoro e non solo. Questi dati vanno comunque presi con i guanti, poiché, se è vero che bisogna riscontrare uno snellimento dei tempi burocratici che ha permesso una riassegnazione efficiente, è pur vero che notizie di beni sequestrati per atti criminali di vario genere sono diventate all’ordine del giorno. È della settimana scorsa, ad esempio, la notizia del sequestro, ai danni di Salvatore Mazzei, di numerosi fabbricati, appezzamenti e macchinari per un patrimonio totale di circa 200 milioni di euro.
Il noto imprenditore è accusato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro di aver tirato su un vero e proprio sistema criminale, legato ai lavori di rifacimento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Secondo gli inquirenti l’imprenditore, con l’aiuto della ‘ndrangheta, avrebbe preso il controllo dei lavori tramite estorsioni e subappalti.
Un esempio per dire che le assegnazioni sono aumentate, ma le confische anche. È importante precisare che fare impresa in queste realtà è tutt’altro che facile. Fin dai primi anni in cui questo fenomeno ha iniziato a prendere piede, chi otteneva la possibilità di gestire immobili confiscati alla mafia è sempre andato incontro all’ostruzionismo ad opera delle associazioni mafiose stesse, ma in molti casi anche di intere comunità dimenticate dalle istituzioni. Proprio in questo contesto possono nascere situazioni scabrose. Ad esempio, a Caltanissetta da pochi giorni è cominciato un processo contro alcuni magistrati e amministratori adibiti alla gestione dei beni sequestrati in Sicilia.
Secondo gli inquirenti si sarebbe verificata una gestione illegittima di diversi immobili, che sarebbero stati assegnati a chi non ne aveva diritto. Al centro della bufera è finita Silvana Saguto, magistrato antimafia, che presiedeva la sezione “misure di prevenzione” del tribunale di Palermo, che insieme al suo presunto “cerchio magico” dovrà difendersi dalle accuse di abuso d’ufficio, associazione a delinquere e non solo.
Chiaramente queste accuse dovranno essere confermate da un regolare processo, ma se fossero confermate certamente ci sarebbe qualcosa da riformare nel sistema di gestione e assegnazione dei beni sequestrati. Aumentare i controlli è fondamentale per non lasciare che le associazioni criminali possano rientrare in possesso dei beni sottratti dallo Stato. Difendere le proprie conquiste e trasformarle in piccoli avamposti di legalità è una battaglia fondamentale per colpire gli elementi cardine di ogni business mafioso, vale a dire il portafogli e il consenso.
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
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