Domani in Sicilia si voterà per rinnovare le istituzioni regionali ed eleggere il nuovo presidente della Regione. La campagna elettorale è stata intensa e piena di schermaglie, ma sostanzialmente meno rumorosa e selvaggia che in passato. Adesso è il momento della verità. Un banco di prova sul quale si misurano le strategie nazionali in vista delle prossime elezioni politiche. La corsa, come si dice da tempo, è tra il centrodestra di Nello Musumeci e il Movimento Cinque Stelle di Giancarlo Cancelleri, mentre subito dietro c’è chi ipotizza un sorpasso clamoroso della lista di Claudio Fava, candidato della Sinistra, ai danni di Fabrizio Micari, candidato del Pd e della sua coalizione.

Vedremo se i sondaggi ci avranno azzeccato e se il partito dell’astensionismo, che si attesta tra il 50 e il 60%, rimarrà tale o si assottiglierà un minimo spostando gli equilibri in un verso o nell’altro. Sarebbe una normale competizione elettorale, in una regione qualsiasi. Invece, in Sicilia, non lo è mai. Tutti gli osservatori che in questi mesi hanno commentato la campagna elettorale, infatti, sono stati molto più impegnati a sottolineare aspetti che, pur appartenendo all’intero Paese, vengono ritenuti ancora una “caratteristica” propria di qualsiasi vicenda siciliana si commenti. Ci si chiede, principalmente, dove la mafia indirizzerà i voti, come se in altri contesti regionali lontani da Palermo ciò non avvenisse.

Ci si concentra sulle questioni, legittime per carità, degli impresentabili, ma non si lascia molto spazio alle prospettive politiche, alle diverse idee di Sicilia che i vari candidati e le varie forze hanno. E questo, con riferimento a chi osserva da fuori, al di là dello Stretto, non è giusto, perché sa tanto di stereotipo o di marchio indelebile. Sia chiaro, il tema mafia in Sicilia è importante (e paghiamo anche lo scotto del pessimo precedente di Cuffaro), ma non può diventare un’esclusiva in un’Italia che nel suo insieme non è immune, né imprenditorialmente né politicamente, da infiltrazioni e collusioni criminali e mafiose. Non si può ridurre tutto alla sola questione mafiosa.

Eppure è così, lo hanno candidamente ammesso anche alcuni giornalisti: “Quando si pensa alla Sicilia, in queste elezioni, si pensa per prima cosa alla mafia”. Una banalizzazione inaccettabile e figlia di un atteggiamento snob che, purtroppo, non proviene solo da cittadini e commentatori nati nel “Continente”. Ma visto che ci siamo, affrontiamola questa onta mafiosa e cerchiamo di capire, da dentro i nostri confini regionali, quello che rappresenta questo voto.

La questione degli impresentabili va affrontata come andrebbe affrontata ad Aosta o a Milano o a Treviso. Una questione nazionale che non andrebbe mai legata ad aspetti esclusivamente formali, giudiziari o burocratici, ma prima di tutto etici, morali, politici. Nello Musumeci ha fatto una pessima figura quando, dopo essersi vantato di aver insistito sulla necessità di presentare liste pulite, non ha saputo spiegare in modo convincente il perché allora nelle liste che lo sostengono ci fossero candidati con alle spalle arresti, condanne, imputazioni e altri che, pur avendo la fedina penale pulita, hanno dichiarato una certa empatia nei confronti della mafia e dei suoi boss storici.

Lo stesso Movimento Cinque Stelle, che delle liste pulite prova a farsene un merito, appare poco convincente se poi non prende le distanze da quel Beppe Grillo che sulla mafia in Sicilia ricade in dichiarazioni stolte che hanno il solo irritante effetto di fare una carezza a cosa nostra e minimizzare la violenza e la barbarie della sua storia. Venire a Palermo e ogni volta dire che lo Stato o la finanza siano peggio delle mafie e che le mafie anzi un tempo avevano una morale che qualcuno ha sporcato, significa non conoscere almeno l’80% della storia di cosa nostra, compresa quella cosiddetta “vecchia mafia” che una letteratura farlocca spesso ricopre di irreale romanticismo o di presunte (e finte) logiche di rispetto.

In Sicilia esiste sicuramente un problema mafioso, come esiste anche in regioni del nord nelle quali la criminalità organizzata ha spostato e radicato perfino alcune sue leve di comando. E il problema mafioso va affrontato ovunque con lo stesso principio universale dell’etica politica, di cui principalmente proprio chi fa politica ha il dovere di occuparsi. Ha ragione Claudio Fava quando dice che un candidato presidente ha l’obbligo morale di sapere chi sono i candidati che lo sostengono e di pretenderne la cacciata in caso di accertate o anche sospette collusioni con la criminalità organizzata.

Non ha senso delegare ai magistrati la selezione della classe dirigente, così come non ha senso, come ha fatto Musumeci, scaricare il problema sull’inadeguatezza di una legge che vieta la candidatura solo a chi ha carichi pendenti. Ancora peggio è affermare, come ha fatto sempre il candidato del centrodestra, che saranno gli elettori a non votare gli impresentabili presenti nelle liste e a fare la necessaria selezione, visto che in Sicilia è possibile esprimere le preferenze.

Un discorso pericoloso, in Sicilia come in tutta Italia. Perché le preferenze, di cui tanti sono innamorati, da sole non danno la garanzia di una corretta selezione, anzi talvolta possono diventare proprio la sigla dello scambio illecito insita in un voto che non è realmente libero, specialmente in un elettorato, come quello italiano e siciliano, nel quale crisi economica, corruzione, degrado culturale e debolezza politica premiano logiche di mercato nero del voto. Affidarsi all’onestà di un elettore oggi non è dunque romantica utopia, ma consapevole presa in giro.

È proprio questo aspetto che dovrebbe essere centrale nella politica regionale di chi verrà eletto: non serve  preoccuparsi di essere esenti da guai giudiziari o da voci sulla propria persona e poi sperare che gli “errori” nella compilazione di certe liste (che in realtà sono consapevoli concessioni ai partiti) possano essere sanati dagli elettori; quello che serve è lavorare ogni giorno affinché tutti i futuri voti siano liberi. Liberati dal bisogno, dalle minacce, dalle miserie di un Paese che, ai margini così come ai piani alti della società, è pronto a vendersi per una manciata di spiccioli, per una busta della spesa, per un posto di lavoro o per una mazzetta. Questo vale per tutti e in tutta la nazione.

La Sicilia paga l’origine geografica della mafia e anni di oppressione. Ma la Sicilia, qualcuno lo dimentica spesso, è anche la terra dei martiri antimafia, delle reazioni popolari, delle associazioni antiracket. Allora, proviamo certamente a fare in modo, come elettori, di votare secondo coscienza, ma pretendiamo anche che chi andrà a guidare quest’isola, chiunque esso sia, inizi a dare un esempio diverso, virtuoso, che possa finire sotto gli occhi di tutti e cancellare l’irritante onta mafiosa che continuiamo a sentire appiccicata sulla nostra storia passata e presente.

Personalmente credo che qualcuno potrebbe riuscirci meglio di altri, ma sarei lieto di celebrare e applaudire un cambiamento simile a prescindere da simpatie o convinzioni personali. Per il bene di una terra che non merita affatto questo continuo oltraggio.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org