Il 6 luglio, per la famiglia di Tony Drago, il caporale dell’esercito ucciso nel 2014 dentro la caserma “Sabatini” di Roma, non è un giorno normale. Perché il 6 luglio è la data di morte di Tony. Una data presunta, visto che in realtà è solo quella del ritrovamento del corpo dentro il cortile della caserma, in una triste e maldestra messinscena per mascherare da suicidio quello che è stato un omicidio efferato. Nulla esclude, infatti, che Tony possa essere morto già il 5 sera e questo oggi potremmo anche saperlo se solo questa storia non fosse stata riempita di depistaggi, silenzi omertosi, lacune incredibili. Come quella strana dimenticanza del medico legale che accertò la morte del giovane soldato, senza però indicarne l’ora presunta.
In ogni caso, che sia il 5 o il 6, ciò che fa male, oltre al dolore di una famiglia, degli amici e della ex fidanzata del ragazzo, è la rabbia per una verità nascosta, una verità che qualcuno conosce e che da tre anni non emerge. Per colpa dell’esercito e dei suoi vertici, ma anche di altre istituzioni che non funzionano come dovrebbero. Ci sono volute tutta l’ostinazione dei familiari di Tony, la professionalità del loro legale e dei consulenti di parte e la serietà di un magistrato, come il gip di Roma, Angela Gerardi, per smontare pezzo per pezzo una versione ufficiale, cioè quella del suicidio, che si poggiava su basi assurde, irrealistiche, ma che sin dall’inizio, con una fretta più che sospetta, è stata l’unica che l’esercito ha sostenuto e creduto possibile.
Ci è voluto tanto per arrivare finalmente, il 15 marzo scorso, a confermare che il giovane caporale siracusano è stato barbaramente ucciso. Abbiamo salutato la notizia come una svolta, con la speranza concreta che questa volta si potesse tirar fuori la verità e ottenere giustizia. Ci si aspettava che la Procura di Roma chiudesse le indagini e procedesse per omicidio volontario nei confronti degli otto militari indagati perché, per grado e funzioni, avevano l’obbligo giuridico di impedire la morte di Tony Drago. E invece, nonostante il 18 aprile scorso il legale della famiglia Drago abbia presentato istanza di chiusura delle indagini, non è accaduto nulla. L’istanza non è stata accolta.
Nel frattempo, il Procuratore della Repubblica ha effettuato una nuova iscrizione nel registro degli indagati per omicidio volontario, a carico di ignoti, pochi giorni dopo che la Procura militare aveva già fatto la medesima cosa. Dopodiché il nulla. Nessun atto ulteriore. Nonostante siano ampiamente scaduti i termini per la chiusura delle indagini (per cui non risultano richieste di proroga), nonostante ci siano le perizie che abbiano dimostrato che il ragazzo è stato assassinato e che qualcuno ha voluto inscenare un suicidio per coprire i colpevoli, nonostante ci sia stata l’iscrizione di un fascicolo per omicidio volontario e nonostante siano stati individuati otto militari che quella sera avevano la responsabilità di tutelare la vita del caporale, il procuratore della Repubblica di Roma non ha ancora deliberato nulla riguardo alle sorti del processo.
“Un fatto per me inspiegabile e irragionevole – ci dice l’avvocato Riccioli al telefono – perché la conseguenza di un’iscrizione nel registro degli indagati a carico di ignoti per omicidio volontario dovrebbe essere logica e immediata: chi aveva l’obbligo giuridico di vigilare dovrebbe essere processato”. In ragione di ciò, visto che la Procura non ha esercitato l’azione penale, l’avvocato Riccioli, su mandato della famiglia di Tony, ha depositato la richiesta di avocazione delle indagini al Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma.
Un atto necessario perché il passare del tempo mette a rischio il cammino verso la verità e la giustizia: “Ho deciso di farlo – afferma Riccioli – perché sta passando troppo tempo e in questa vicenda il tempo è il nostro peggior nemico. Non soltanto nostro, ma dovrebbe esserlo anche di coloro i quali dovrebbero sostenere l’accusa in giudizio, cioè la Procura”. Il timore è più che giustificato, visto che il rischio di prescrizione, come conferma il legale, è altissimo: “Sono trascorsi tre anni dalla morte di Tony Drago, quindi metà del termine di prescrizione previsto per il reato di omicidio colposo (6 anni) è interamente decorso senza che nulla sia accaduto, se non aver finalmente dimostrato, dopo tre anni, che Tony è stato ucciso”.
“Questo significa – continua l’avvocato – che il processo avrà una durata certamente superiore ai termini di prescrizione del reato e, quindi, vorrebbe dire che anche questo delitto resterà impunito”. Un esito possibile, considerati anche i precedenti casi di chi ha dovuto scontrarsi con le istituzioni, in particolare con l’esercito.
D’altra parte, questo tentativo di allungare i tempi lo si è notato sin da subito, con la lentezza con cui sono stati resi noti ai familiari elementi importanti per comprendere la vera sorte del ragazzo. Basti pensare, ad esempio, che le foto dell’autopsia e quelle della Scientifica sono state messe a disposizione della famiglia e dei legali a distanza rispettivamente di sei e otto mesi dall’omicidio. E non sono le uniche cose per le quali, da parte anche dell’esercito, si è cercato di prendere tempo (ad esempio la molto tardiva consegna del computer di Tony).
Insomma, il tempo, in casi come questi, è un elemento fondamentale. E chi vuole nascondere la verità lo sa. Ecco perché il ritardo della Procura della Repubblica romana, sulla cui buonafede, almeno in questa sede, non vogliamo discutere, è pericoloso e rischia di prestarsi a sospetti. Ed ecco perché la scelta della famiglia di Tony e del loro legale è l’unico mezzo possibile per smuovere questa situazione e strapparla a uno stallo incomprensibile e, soprattutto, dannoso per chi chiede legittimamente che la verità venga fuori e che i responsabili vengano trovati e giudicati.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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