I miliziani dello Stato islamico (Is) in Siria si sono macchiati di nuovi “crimini contro l’umanità” alla vigilia dei colloqui di pace che inizieranno lunedì prossimo, 23 gennaio, ad Astana, in Kazakhstan. È di due giorni fa, infatti, la notizia della decapitazione di 12 persone, tra cui quattro civili e otto militari, all’interno dell’emiciclo dell’anfiteatro romano di Palmira, città siriana patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco. Immagini satellitari hanno confermato poi la distruzione, da parte del gruppo terroristico, di vari monumenti archeologici del sito di Palmira, tra cui la facciata dell’anfiteatro romano. Il nuovo sfregio alle vestigia dell’antica città di Palmira “è un esempio della pulizia culturale, guidata da obiettivi estremisti, sia di vite umane sia di monumenti storici, al fine di privare il popolo siriano del suo passato e del suo futuro”, ha affermato il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova.
La città di Palmira è uno dei simboli della guerra in Siria, dato il suo inestimabile valore dal punto di vista storico e archeologico, ed è anche uno dei pochi luoghi “strategici” ancora in mano allo Stato islamico. Il gruppo jihadista, infatti, ha perso molto terreno in Siria, dove però mantiene alcune sacche di resistenza come Raqqa, la sua capitale di fatto, nel nord del paese, e l’esito dei colloqui di Astana tra governo di Damasco e opposizione “moderata” potrebbe indebolirlo ulteriormente.
Patrocinati da Ankara, Mosca e Teheran, i negoziati di Astana vedranno come protagonisti esponenti del governo siriano guidati dall’inviato di Damasco all’Onu, Bashar al Jaafari, e dei ribelli, capitanati da Mohammed Alloush, leader del gruppo islamista Jaysh al Islam. Ad Astana sarà presente anche l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, mediatore dei colloqui di Ginevra falliti nella primavera scorsa dopo il boicottaggio dell’opposizione. Parteciperà anche una delegazione dell’Unione Europea.
Alloush, da parte sua, ha già dichiarato che i colloqui di Astana saranno “il campo di battaglia” delle forze dell’opposizione, aggiungendo che il suo obiettivo sarà quello di “confermare il cessate il fuoco e impedire le violazioni” da parte delle forze governative. Jaysh al Islam, che non fa parte della lista dei gruppi terroristici stilata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, è una della fazioni che ha manifestato la propria disponibilità a firmare un accordo per la tregua. In tale contesto, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha chiarito nei giorni scorsi che tutti quei gruppi che non sono affiliati al Fronte al Nusra (ramo siriano di al Qaeda), considerato fuorilegge da Mosca, hanno i requisiti per rispettare l’accordo del 29 dicembre scorso sulla tregua e quindi per prendere parte ai colloqui di Astana.
Il vice ministro degli Esteri siriano, Faysal Mekdad, ha invece detto che qualsiasi paese che cerchi di facilitare una soluzione pacifica del conflitto siriano ha i requisiti per partecipare ai colloqui. Resta l’incognita invece sulla partecipazione statunitense. Gli Usa hanno confermato, ufficiosamente, di aver ricevuto l’invito a prendere parte ai colloqui, ma per ora non ci sono comunicazioni ufficiali da parte loro. Spetterà comunque alla nuova amministrazione Trump, appena insediatasi, prendere una decisione. Quello che è sicuro è che né la Siria né l’Iran vedono di buon occhio la partecipazione di Washington ai colloqui di Astana.
Trump, da parte sua, ha già lasciato intendere di essere pronto a rivedere alcune delle posizioni prese dal suo predecessore, Barack Obama, rispetto al conflitto siriano. Durante la campagna elettorale, infatti, il neopresidente ha ammesso che l’uscita di scena di Bashar al Assad non è più una condizione imprescindibile per la soluzione del conflitto. È quindi molto probabile che la nuova amministrazione Usa non ostacoli il lavoro di Turchia e Russia che già a fine dicembre sono riuscite a mediare una tregua in Siria.
Intanto Ankara, per ora, sembra aver ottenuto un importante risultato in Siria, ovvero la creazione della zona di sicurezza che chiedeva da tempo. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che la Turchia “stabilirà una zona di sicurezza in Siria” dato che le forze della coalizione a guida Usa non forniscono adeguato supporto alle operazioni dell’Esercito libero siriano (Fsa, i ribelli sostenuti da Ankara) nella regione. Caccia russi e turchi hanno invece concluso questa settimana la prima missione congiunta nei pressi di Al Bab, altra piccola roccaforte dello Stato islamico nel nord della Siria che da settimane è sotto assedio da parte delle forze sostenute da Ankara.
G.L. -ilmegafono.org
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