Quella dei tessuti tossici è una delle forme più subdole di inquinamento ambientale e di minaccia alla salute, una forma che viene poco considerata dalla pubblica opinione, nonostante ci sia chi da diversi anni si batte per “detossicizzare” il settore tessile. Greenpeace, già nel 2011, aveva lanciato la campagna denominata “Detox”, completata dai dati raccolti dal rapporto “panni sporchi” (clicca qui e qui), che denunciava le magagne dell’industria tessile sul piano dell’inquinamento e delle conseguenze sulla salute delle persone. In quell’occasione, le ricerche condotte e rese note dall’organizzazione ambientalista denunciarono il rilascio di scarichi pericolosi nei principali fiumi in Cina da parte delle industrie del settore.
Tutti impianti che rifornivano “grandi brand internazionali, come i giganti dell’abbigliamento sportivo Nike e Adidas”. Scarichi altamente tossici e pericolosi per l’ambiente e per gli esseri umani. Come dimostrato dal rapporto di Greenpeace, infatti, alcuni composti chimici immessi nell’acqua “alterano il sistema ormonale dell’uomo, altri quello riproduttivo. Molte sostanze sono persistenti nell’ambiente perché non si degradano facilmente e si accumulano negli organismi viventi, fino ad arrivare all’uomo”. “L’industria tessile – scriveva Greenpeace nel 2011 – impiega molte sostanze chimiche nelle varie fasi di produzione, dalla pittura dei tessuti al lavaggio e fino alla loro finitura. Gli scarichi prodotti da questi impianti sono spesso tossici e possono contaminare le risorse idriche”.
Un allarme a cui è seguita una lunga battaglia di sensibilizzazione in tutto il mondo, con centinaia di migliaia tra stilisti, blogger, cittadini, attivisti, esperti del settore moda che hanno chiesto una scelta “Detox” ai marchi di abbigliamento, riuscendo a ottenere dei buoni risultati, con numerosi brand che pian piano hanno cominciato ad abbandonare le “produzioni tossiche”.
Una sorta di “conversione” che sembra non arrestarsi, se è vero che, pochi giorni fa, la stessa Greenpeace ha annunciato l’adesione di altri dieci grandi marchi del settore tessile alla campagna “Detox”. Si tratta di Beste (tintoria e finissaggio tessuti), Ongetta (filatura), Dienpi (produttore di etichette), Maglificio Ripa (tessitura), Monticolor (filatura), Imbotex (produttore di imbottiture), Alesilk (tessitura), Italtextil Sarata (filatura) che produce in Romania, Filmar (filatura) e la consociata Filmar Nile (filatura/nobilitazione) che produce in Egitto. Queste aziende si aggiungono “alle altre 27 aziende del distretto tessile di Prato e ai 39 marchi internazionali che si sono impegnati per una produzione priva di sostanze tossiche”.
Cosa hanno fatto di preciso? “Hanno già rinunciato – si legge nel comunicato di Greenpeace – all’utilizzo di numerosi gruppi di sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e per la salute e hanno definito precise scadenze per l’eliminazione di altri gruppi di sostanze tossiche”. “Le aziende che fin qui si sono impegnate – continua – sono in tutto 76 e rappresentano circa il 15% della produzione di abbigliamento in termini di fatturato a livello globale. La rivoluzione Detox è già la norma del settore: le scuse del settore chimico non reggono più!”.
Un altro bel risultato che premia una battaglia lunghissima che, anche se non è ancora vinta del tutto, oggi sembra a un punto di svolta. Una rivoluzione silenziosa, se si considera il livello di attenzione della gran parte delle persone, ma consistente e fondamentale per l’ambiente e per la nostra salute. Per leggere gli impegni assunti dalle singole aziende, clicca qui.
Redazione –ilmegafono.org
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