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Stasera sono entrato al supermercato per prendere rapidamente due cose. Sono andato nonostante sia domenica (cosa che di solito non faccio per principio) solo perché credo e spero che domani (a Milano è Sant’Ambrogio) e martedì (Immacolata) sia chiuso.
Una signora chiede alla solita cassiera, una ragazza molto gentile che riesce sempre a non perdere la calma, fino a che ora lavora. E lei risponde “fino alle nove”, con una espressione triste e stanca.
Allora intervengo chiedendo se almeno domani e martedì rimarranno chiusi.
Mi risponde “Magari…”, con una faccia rassegnata.
Dico che è assurdo. Così come è assurdo che lavorino il 1° maggio.
Mi risponde che è d’accordo con me, ma che purtroppo la gente non si ferma, va a far spesa in qualsiasi momento: “Verrebbero anche il 25 dicembre e l’1 gennaio se fossimo aperti”, aggiunge.
Non è la prima volta che parlo con lavoratori dei supermercati, soprattutto dei marchi della GDO. E ancora una volta provo una rabbia irrefrenabile.
La rabbia per questa società di consumo sfrenato, di individualismo radicale, che spinge la gente a passare sopra i diritti degli altri, pur di avere sempre la possibilità di comprare. In qualsiasi momento.
Mi arrabbio perché penso che i sindacati e i partiti di sinistra (quelli di finta sinistra, perché quelli veri non esistono più), tanto impegnati nel marketing politico, nel mercato stupido della comunicazione, nei salotti tv, abbiano perso del tutto il contatto con il mondo reale e soprattutto con il mondo del lavoro.
Forse è davvero passata l’idea che i lavoratori siano tutti fannulloni, privilegiati, furbi, scansafatiche, gente che “pretende” diritti, che si lamenta di qualsiasi cosa e che dovrebbe solo baciare terra per il fatto di avere un lavoro.
In nome di questo, allora, si è scelto di cedere, di lasciare che venissero demoliti i diritti, di concentrarsi più su questioni di potere o di sterile dibattito politico, infischiandosene dei lavoratori.
Quella ragazza stasera mi ha detto: “Non abbiamo alcuna possibilità di ribellarci, il sindacato non c’è e quando c’è non serve a molto”.
Ecco, è questo il punto. Il sindacato invece serve eccome, ma deve tornare a fare il proprio lavoro, come fanno singole brave persone in tante realtà locali. Minoranza purtroppo.
La politica? Lasciamo perdere. Siamo nel periodo del renzismo, dove il massimo dell’opposizione di sinistra è rappresentata da Vendola o Fassina. Blasfemia chiamarla sinistra. I cinque stelle? Non scherziamo, lasciamo che si divertano a giocare con Grillo e il capellone matto sul web.
Esco dal supermercato con il veleno in bocca.
Non posso fare altro che convincermi che soltanto noi, con i nostri comportamenti, possiamo provare a cambiare le cose. Ma dovremmo essere in tanti. O comunque essere pochi ma cercare di spingere anche gli altri a farlo.
Credo anche che, quando mi si dice che la sinistra è ormai superata, in realtà si giochi sporco utilizzando un luogo comune intriso di retorica.
La negazione dei diritti è identica, anzi forse peggiore e più estesa degli anni passati. E di sinistra vera c’è ancora più bisogno di prima.
Solo che mancano cultura, impegno e volontà reale di abbattere queste ingiustizie.
Nei luoghi che dovrebbero fare da sprone, c’è troppa ignoranza politica, troppa gente radical chic con il culo al caldo e la busta paga sicura e l’aspirazione generale è solo quella di sistemarsi e vivere tranquillamente. Tra un aperitivo e un altro.
Per i problemi sociali e le ingiustizie da abbattere, magari rischiando in prima persona e senza certezza e nemmeno miraggio di un ritorno personale, non ci sono né spazio né tempo. Nemmeno nel weekend e nei festivi, perché c’è da andare al centro commerciale o al supermercato o all’ultima svendita o magari all’Ikea. A far la spesa e la fila alla cassa.
Massimiliano Perna
E’ cosi come tu racconti. Ma il sindacato anche lui è vittima. La sinistra non c’è, anche questo è vero. Siamo arrivati ad un nodo: il capitale(ismo) non riesce più a riprodursi, se non aumentando la sua concorrenza competitiva, da un lato distruggendo posti di lavoro, e dall’altro estendendo e flessibilizzando l’uso della forza lavoro. Questo avviene con una diminuzione della capacità produttiva del 37% sul 2007, e un calo del reddito da lavoro salariato e una contemporanea diminuzione del welfare dovuta al debito pubblico di 2200 miliardi, il 135% del prodotto interno lordo. Al capitale non rimane che la sua finanziarizzazione, moneta che produce moneta. L’assurdo dell’assurdità. Come uscire? Più che beni di consumo, che andrebbero selezionati, abbiamo bisogno di produrre beni che, io, chiamo collettivi. Beni ambientali; sociali; territoriali; geografici; culturali. Ma chi fa questo? Il capitale non fa niente senza profitto; il pubblico è pieno di debiti. A mio parere così stanno le cose. Su questo occorre una soluzione. Ma sarebbe lunga da descrivere, come definire il ruolo della sinistra che non c’è. Salve.
Grazie, questo è un commento come si deve. Non posso che essere d’accordo con te. La questione è complessa, anche perché come dici si è creato un circolo vizioso assurdo, da cui bisognerà in qualche modo uscire (e servirebbero leader politici illuminati e pronti ad assumersi delle responsabilità politiche, non guardando in faccia chi pensa solo al profitto), purtroppo però intanto le vittime sono i diritti e chi ne dovrebbe essere titolare. Qui, forse, il sindacato potrebbe fare qualcosina in più, magari sradicando anch’esso qui legami troppo stretti con politica e dunque con i poteri economici che la regolano. Ma è una questione davvero complessa e ci vorrebbero centinaia e centinaia di pagine per analizzarla compiutamente.
Grazie per il tuo commento.
Buona giornata