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Non sono solito scrivere quando muore qualcuno che non conosco di persona, qualcuno con cui non ho mai parlato, ma Pino Daniele, così come Massimo Troisi, meritano parole e non silenzio. Perché la loro vita, in fondo, era fatta di parole e i silenzi lasciavano spazio solo alla musica e alla poesia. Pino Daniele è stato un compagno fidato, uno di quegli amici lontani che magari parlano poco o sottovoce ma che stanno sempre lì, tutte le volte che ne hai bisogno. Di quelli che sanno sempre dire la cosa giusta, indipendentemente dal tuo stato d’animo. Il blues, la melodia, le sonorità mediterranee, le contaminazioni, le parole che entravano dentro alla mia incazzatura o al mio romanticismo, alla mia solitudine o alla mia gioia, mi hanno accompagnato sempre.
Parole e note che invadevano dolcemente i falò notturni sulla spiaggia, le scampagnate con gli amici, i viaggi in treno o in auto, oppure mi entravano in testa mentre andavo a mare in sella alla mia vespa, nelle mattinate caldissime d’estate, o ancora quando nel buio della mia stanza avevo bisogno di respirare e coccolarmi l’anima.
Ora l’Italia lo piange. Ma non piange solo lui e quella fine che noi, suoi seguaci affezionati, abbiamo sempre temuto e sperato avvenisse il più tardi possibile (e comunque ce lo siamo goduti tanto, poteva andare ancora peggio, come fu con Troisi). L’Italia piange Napoli, la sua meravigliosa creatività, quell’atmosfera popolare che diventa arte, teatro, musica, cinema. Napoli, con il suo profilo di mare, con quei sapori e profumi che nelle melodie di Pino (con i miei amici lo abbiamo chiamato sempre e solo così) riuscivi a sentire, gustare, respirare. Sapori, profumi, ma anche dolore, inerzia, rassegnazione, voglia di libertà, rabbia che scorreva in molte canzoni. E una malinconia meravigliosa, romantica, struggente ma sempre pronta a lasciar spazio all’ironia.
Se c’è una cosa che mi consola, in questi due giorni di dispiacere, è proprio vedere che finalmente l’Italia (tolti gli idioti leghisti che dall’Italia vogliono solo soldi e poltrone) piange Napoli, la guarda con delicatezza, con affetto. E ne sono felice, perché di solito sento il contrario. Ascolto un odio viscerale per i napoletani da parte di gente che con Napoli non ci ha mai avuto a che fare. Sento, a Milano soprattutto (ma mi è accaduto anche a Roma e altrove), tutti gli stereotipi più difficili da estirpare. I difetti di una città, che derivano anche da una storia che molti non conoscono, diventano immediatamente marchio di tutto il suo popolo.
Persino le tragedie di cui quel popolo è stato vittima divengono oggetto di scherno, di acida offesa. I cori da stadio che senti anche al di fuori dello stadio, anche da gente che allo stadio non va; la parola “napoletano” utilizzata come un’offesa o per indicare qualcosa che non corrisponde alla norma o che è di pessima qualità. Anche da chi ha origini campane ho sentito oltraggiare quella gente e quella terra. Anche certi film (vedi i tanto acclamati “Benvenuti al Sud” o “Benvenuti al Nord”) non hanno dato un buon contributo nel neutralizzare gli stereotipi e le generalizzazioni.
Come se Napoli fosse solo camorra, furbizia, lassismo, raggiro o neomelodici di quart’ordine. Come se Pino, Troisi, Totò, Eduardo e la sua famiglia, Giancarlo Siani, Saviano, Cantone, Roberto Murolo, i fratelli Bennato, Ranieri o Teresa De Sio e tanti altri ancora non fossero niente. Come se non fossero loro la faccia della Napoli più bella che è popolare, viva, combattiva e si nutre dello stesso coraggio, dello stesso impegno e della stessa genialità tra i quartieri, nei teatri rionali, nelle cantine insonorizzate dell’underground musicale che continua a produrre innovazione e poesia, nonostante tutto, nonostante i problemi creati da chi, per anni, su quella terra ci ha urinato veleni e cattiva politica.
Personalmente ho frequentato pochissimo Napoli, ma l’ho sempre amata attraverso i suoi incantevoli personaggi. Poi ho avuto la fortuna di conoscere e diventare amico di tanti napoletani, di lavorare per e con loro, di scoprire le meravigliose realtà che si muovono culturalmente nei rioni, anche in quelli i cui nomi fanno paura e orrore, quelli nei quali c’è la merda della camorra ma, come sempre accade in contesti simili, c’è anche chi si ribella e lavora per togliere alla camorra l’ossigeno e la manovalanza. E non si creda, tra l’altro, che nei quartieri periferici e abbandonati delle città “eleganti” non vi siano problemi identici: la differenza è che lì la ribellione e la consapevolezza sono ancora parole e concetti lontani e isolati. A Napoli sono già divenuti preziose abitudini.
Quando sono stato a Napoli ho guardato il bello di una città imponente, nei cui vicoli entra la luce di una storia che è italiana, che passa dai tremendi e realisti scenari narrati da Curzio Malaparte e, attraverso l’onta dell’abbandono atavico, arriva a partorire le meraviglie più strepitose della cultura e della musica italiana. Oggi l’Italia piange per Pino, ma anche per Massimo Troisi, persino per Totò ed Eduardo, anche un po’ per quel fratello, Peppino, che fu spalla inimitabile, elegante e geniale del Principe. Piange perché sa che quella malinconia che ciascuno di loro ha reso arte, poesia, magia è la nostra, la stessa di un tempo che se ne va e che ci lascia più soli a ricordare una grandezza che, grazie a Napoli, era italiana. Una grandezza impareggiabile che ci ha cresciuto e influenzato culturalmente.
Allora mi consolo a pensare a una Napoli che il mondo celebra, adesso, per la sua generosità, per quello che ci ha dato senza chiedere nulla in cambio, lasciandosi scivolare, con una battuta e una canzone, gli insulti e la stupidità di un intero Paese e poi di quella sporca mandria di barbari che Pino definì giustamente “una vergogna”. Domani, lo so, che tutto tornerà come prima. Che Pino, per molti, sarà solo un altro nome da imprimere sul marmo. E Napoli e i napoletani torneranno a diventare il sinonimo di tutte le più truci offese. Perché la bellezza non è qualcosa che tutti sanno apprezzare o amare. Ma noi scrolliamo le spalle e continuiamo ad amarla, anche da lontano, questa splendida città, con la sua gente ricca, di quella ricchezza che nessun’altra città potrà mai avere o comprare. Allora premiamo “play” e lasciamo andare la musica e una voce avvolgente che ci ripete che “Napule è mille culure…”.
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