Mi piacerebbe vedere un uomo di Chiesa alla Stazione di Milano Centrale. Seguirlo mentre cammina sotto la pomposità degli affreschi, tra le vetrine luccicanti dei negozi. Lo vorrei veder salire le scale, lunghe, ripide fino ai binari. A metà, sul pianerottolo potrebbe vedere intere famiglie. Non hanno bagagli, al massimo uno zaino. Sono i profughi che passano da lì. Ennesima tappa di un viaggio che ha come unica destinazione “lontano”. Vorrei poter passare di lì, con le mie valigie e vedere una camicia nera con il classico colletto bianco seduto per terra o con i paramenti più alti. Almeno a parlare. Questo farebbe bene alla mia coscienza, lo ammetto: potrei passare di lì e sapere che oltre la protezione civile e le associazioni (anche cattoliche) qualcun altro si sta occupando di esseri umani come me e, se non altro, mi toglierebbe il pensiero. Ma farebbe bene anche alla mia fiducia verso la Chiesa e quello che rappresenta nella società.
Alla luce di questo la polemica tra Comune di Milano e Diocesi è sconfortante. Il casus belli è che il Comune (nella persona dell’assessore Majorino) ha chiesto alla Diocesi di ospitare i profughi siriani mettendo a disposizione chiese e oratori per far fronte agli ingenti arrivi di profughi, siriani e non solo, in transito a Milano. La Diocesi ha risposto picche, invitando a lasciar perdere “sterili polemiche” e sottolineando il lavoro svolto dalla Caritas e dalle altre associazioni. Le classiche scaramucce sulle spalle degli ultimi. Indubbiamente le autorità pubbliche (dal Comune in su, molto in alto, fino al Consiglio Europeo) non possono sempre scaricare il barile e confidare, è il caso di dirlo, in qualche Provvidenza. Sotto questo punto di vista, se negli ultimi anni avessimo parlato anche di politica estera, qualche risultato in più, direi, l’avremmo ottenuto ai tavoli dei potenti.
Ma mentre ci si rimpalla le colpe o le responsabilità, la lunga lista di ultimi che un tizio di nome Gesù, secondo molti, avrebbe consolato, curato, abbracciato senza timore passa, nell’indifferenza di tanti, proprio lì, nel cuore della città. Il Comune di Milano, però, in questo caso, ha ragione, perché è impegnato in prima linea nell’assistenza ai profughi, producendo uno sforzo notevole. E la Chiesa? Sarebbe facile infilarsi nel groviglio di un discorso pseudo teologico che scadrebbe ben presto nella banalità. Ma basta riconoscere, lucidamente, il ruolo che da sempre in questo Paese il cattolicesimo rappresenta con le sue istituzioni, per stupirsi di fronte alla risposta della Diocesi.
Ricordiamo che la Chiesa ha un ruolo in questa società. Dai discorsi del Papa al tg, fino alle suore negli ospedali. Certe politiche assistenzialiste, certe battaglie anche operaie, la resistenza, la lotta alla mafia, l’aiuto agli ultimi degli ultimi di questa strana società hanno avuto e hanno ancora come protagoniste anche persone di fede e spesso operanti in strutture appartenenti alla Chiesa. Cittadini che anche in silenzio e quasi incomprensibilmente (come capita ai tanti volontari di qualsiasi associazione) si dedicano ad attività di cui alla fine in molti beneficiano. Non si vede però perché le associazioni sì, ma chiese e oratori no. Le polemiche sterili sembrano proprio arrivare da dove, a prescindere, ci si aspetterebbe, come società, un impegno a tutto tondo, senza remore.
Aspettarselo è lecito per due ragioni. Primo, non si può nascondere dietro un dito la forza, in tutti i sensi, che le istituzioni clericali hanno a Milano e in Italia anche grazie a politiche di riguardo osservate dallo Stato. Secondo, e spingendosi in un discorso un po’ più cinico e politico, credo che l’applicazione del Vangelo al caso concreto faccia breccia nei cuori più di tanti discorsi teologici durante le omelie. Da qualche tempo passa il messaggio (coadiuvato dalla colpevole grancassa mediatica che “taglia” gli esempi contrari) di un’istituzione interessata a quello che le persone fanno sotto le lenzuola e non alle persone in quanto tali. Su questo inviterei a riflettere il Cardinale che immagino abbia a cuore le sorti della religione che rappresenta. Come scriveva De Andrè, in Coda di Lupo: “Al dio della scala non credere mai”.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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