La realtà spesso supera la fantasia. Niente di più vero nel caso del patron di Malagrotta, Manlio Cerroni, agli arresti domiciliari con l’accusa di lucrare sull’emergenza rifiuti nel Lazio. Secondo quanto emerso dalle indagini, la richiesta di arresto di Cerroni sarebbe stata “trafugata” dall’ufficio del gip a marzo scorso, motivo per il quale l’arresto è stato “rimandato”. I documenti sono stati depositati dalla procura di Roma il 21 marzo del 2013 ma il carteggio, custodito nell’ufficio del gip Massimo Battistini, sarebbe sparito. La scoperta è stata fatta il 16 luglio successivo e la procura ha aperto un fascicolo contro ignoti, per furto.

Cerroni è stato quindi arrestato il 9 gennaio scorso. Secondo l’ordinanza del gip, il fondatore e proprietario di Malagrotta sarebbe a capo di un gruppo criminale “in grado di condizionare l’attività dei vari enti pubblici coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti nel Lazio, a partire dalla Regione”. Il gruppo era costituito da soggetti privati, pubblici funzionari e politici e le sue attività sono state ricostruite grazie a intercettazioni, testimonianze, acquisizioni di documenti e perizie. Cerroni, indicato dagli inquirenti come il capo delle iniziative del gruppo, era soprannominato “il Supremo“.

Nell’inchiesta è indagato anche l’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo, accusato di abuso d’ufficio per il via libera dato alla costruzione del termovalorizzatore di Albano Laziale da parte del consorzio Coema, riconducibile allo stesso Cerroni. L’interrogatorio al re dei rifiuti di Roma è durato circa tre ore, il 15 gennaio scorso. “Io ho salvato Roma dal caos rifiuti, in questa materia sono l’oracolo”, ha detto Cerroni. Sta di fatto che la discarica di Malagrotta doveva essere chiusa sette anni fa e invece, grazie alle numerose proroghe, ha resistito fino al 30 settembre del 2013.

A settembre 2012, la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per stabilire se l’inquinamento provocato dalla discarica di Malagrotta abbia provocato la morte per tumore di quattro persone. L’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) inoltre, negli anni, ha effettuato numerosi rilievi nelle falde acquifere del sito di Malagrotta, riscontrando un aumento progressivo del livello di inquinamento presente. Si è scoperto che nelle sonde sotterranee usate per i rilievi, in concentrazioni variabili nel tempo e con valori superiori ai limiti di legge, sono presenti solfati, ferro, manganese, arsenico, cromo, nichel, alluminio e piombo benzene.

Ora il sito dovrà essere bonificato e, paradossalmente, l’azienda per i rifiuti di Roma, l’Ama, potrebbe essere costretta a risarcire 78 milioni di euro al consorzio di Cerroni, il Colari (che gestisce la discarica), per irregolarità contrattuali, servizi extra resi alla municipalizzata e altri costi sostenuti. Cerroni ha presentato due richieste d’arbitrato nel 2011 e nel 2012 contro l’Ama che, a sua volta, ha fatto ricorso alla Corte d’Appello per la gestione della discarica. Ora si attende il giudizio della Corte.

Giorgia Lamaro -ilmegafono.org