Un’impresa impossibile. Un tentativo destinato a morire nella palude di una situazione nella quale, come sempre, emergeranno soltanto coloro che il caos lo vogliono, perché conviene, perché potrebbe regalare consensi facili, stuzzicando la pancia a svantaggio dei pensieri. Pier Luigi Bersani ha appena ricevuto, dal presidente della Repubblica, l’incarico di consultare i gruppi parlamentari per verificare la possibilità di ottenere una maggioranza certa che gli consenta di formare un governo e chiedere la fiducia alle camere. Una direzione obbligata, ma praticamente un vicolo cieco, dentro la cui oscurità il segretario del Pd rischia di smarrire il proprio futuro politico. Non ha scelta, Bersani, né vie di fuga facilmente praticabili. Avrebbe potuto non accettare, vista la situazione e considerata la irreversibile chiusura del Movimento 5 Stelle e l’improponibile disponibilità del Pdl, ma non lo ha fatto.
Adesso rischia di crollare, prestando anche il fianco a chi, all’interno del suo partito, in maniera onestamente ingenerosa, gli affibbia ogni peccato e lo vorrebbe tirar giù dalla sedia di comando per sostituirlo con il “nuovo che avanza”, un nuovo che in realtà puzza di conservazione, di giacche dal taglio giovanile ma impregnate di naftalina e di dopobarba fuorimoda. C’è un capro espiatorio che si trova esposto, in questo momento, alle accuse di chi lo reputa colpevole di aver perso, o meglio di non aver vinto appieno, di non aver compreso, di aver tergiversato. Rilievi giustificati, legittimi, difficili da evitare, ma che, razionalmente, andrebbero distribuiti tra i tanti protagonisti del suo partito e della politica nazionale. Non solo perché con la logica del capro espiatorio non si arriva mai a una comprensione pura della realtà, ma anche perché in tutta questa situazione non si tiene conto di un aspetto che, comunque la si pensi, merita rispetto.
In questo Paese divorato dal caos e dalla irresponsabilità di molti, c’è qualcosa che sfugge, qualcosa a cui ci siamo disabituati: è il senso di responsabilità, quello che spiega il motivo per il quale Pier Luigi Bersani ha accettato di provarci lo stesso, consapevole del rischio che corre, ma altrettanto consapevole della situazione drammatica in cui versa l’Italia. E questo, a parere di chi scrive, gli fa onore e si contrappone in maniera evidente alla spaventosa figura di un uomo come Grillo, al suo delirio di onnipotenza, di protagonismo, ad una megalomania ai limiti del patologico che lo accomuna terribilmente al Caimano. La logica è perversa, pericolosa, irresponsabile. Non è solo una questione di fiducia o non fiducia, qui il problema è la assoluta indisponibilità al dialogo con chi siede in parlamento legittimamente, in virtù del voto espresso.
I due capigruppo del Movimento 5 Stelle, recatisi al Quirinale con Grillo (qualcuno ci spieghi poi perché un non eletto, un uomo che non rappresenta ufficialmente un partito, debba partecipare alle consultazioni), hanno chiesto a Napolitano di dare l’incarico al loro movimento, in quanto partito che ha preso più voti, e hanno rifiutato qualsiasi accordo per un governo, anche di alto profilo, guidato dall’asse Pd-Sel. Legittimo? Sì, ma fino a un certo punto. Legittima è sicuramente la scelta di non voler appoggiare esecutivi guidati da forze avversarie; totalmente irragionevole, invece, è chiedere l’incarico di governo, puntando sui numeri dei voti ricevuti. C’è una legge elettorale, orribile, ma c’è. Quella legge prevede un determinato meccanismo e, nel momento in cui accetti di concorrere alle elezioni, devi rispettarne le regole e l’esito. Quindi, la richiesta presentata da Grillo e dai suoi due capigruppo è priva di senso.
D’altra parte, privi di senso sono anche gli atteggiamenti, le parole, i comportamenti di questi due nuovi volti della politica, Crimi e Lombardi: a sentirli parlare ti vien quasi nostalgia dei vecchi e soprattutto, sempre che ce ne sia il tempo, arrivi a sperare che fra tre mesi lascino davvero il posto ad altri del Movimento, magari un po’ meno imbarazzanti di loro. Ciò detto, la situazione attuale non promette nulla di roseo. Il fantasma di un ritorno al voto assume contorni sempre più materiali e partorisce l’ombra funesta di un Paese impantanato, privo di una guida, ostaggio degli equilibri partitici e movimentistici, costretto a sprecare decine di milioni (alla faccia della lotta agli sprechi, cari grillini) per una nuova tornata che, in virtù di questa legge elettorale, con tutta probabilità, proporrà una situazione pressoché identica. Uno stallo che significa baratro e annuncia prospettive drammatiche. Dove si vuole arrivare?
I due padri/padroni del 5 stelle di sicuro hanno il loro obiettivo: distruggere le istituzioni dall’interno, svuotarle, liquefarle, renderle virtuali, non si capisce bene in nome di quale disegno. Il Pd rischia di sfaldarsi, con l’obbligata necessità di affidarsi a Renzi, uomo di ispirazione chiaramente conservatrice che piace tanto a destra. Alla fine dei conti, quello che come sempre ci guadagna è Berlusconi. Ancora una volta quasi finito e improvvisamente ripescato, rianimato, salvato dagli errori degli altri, oltre che dalla sua astuzia furfantesca. Solo che questa volta non è il Pd a salvarlo. Non D’Alema, né Veltroni. Questa volta in suo soccorso è arrivato Grillo. L’occasione di chiudere in una cantina della storia il sistema melmoso di Berlusconi, dei suoi interessi e del suo esercito di scagnozzi, nani, ballerine e servi della gleba è stata sprecata nuovamente.
Sarebbe bastato garantire ad un governo guidato da Bersani e con dentro personaggi di alto profilo istituzionale una fiducia limitata solo alla formazione di un esecutivo, per poi far sentire il proprio peso decisivo al Senato, durante il voto dei singoli provvedimenti, con priorità concordate preventivamente. Grillo poteva davvero contribuire in maniera concreta a cambiare questo Paese e, al contempo, mettere la parola fine sul potere di Berlusconi, il quale invece, mostrando astutamente la propria moderata (e falsa) disponibilità al dialogo con il Pd (che se accettasse si auto-condannerebbe a morte certa), riesce nuovamente a far dimenticare ad una parte del popolo la sua vera natura di nemico delle istituzioni, della democrazia, della legalità, del bene comune e del buon governo.
Il suo silenzio, il suo lavorare sotto traccia, aspettando una nuova e probabile campagna elettorale che, come sempre, sarà il suo terreno di gioco prediletto, sono segnali che la sua fine, data per certa fino a meno di due settimane fa, è ampiamente rinviata. E chissà che non ce lo ritroveremo nuovamente lì, a guidare l’Italia tra barzellette e orge, tra scandali e leggi ad personam, mentre il Paese affonda. E noi con esso. Anche se non tutti affonderemo, ovviamente. Perché qualcuno resterà a galla, senza alcun problema. Facendo la vita di sempre. E magari ci guarderà, con una smorfia di compassione e un irriverente ghigno di soddisfazione. Il ghigno di un comico furbo che sa arricchirsi, divertire, urlare e predicare. Oltre che nuotare.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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