“Priorità” è un termine che ha un significato preciso, concreto, che indica il possesso di un valore fondamentale o comunque superiore rispetto ad altro. Esistono, nella nostra esperienza quotidiana, delle priorità che sono oggettive, evidenti, incontestabili e attengono al miglioramento della nostra vita. Potersi alimentare, poter bere, star bene in salute sono le prime a venirci in mente, perché da esse derivano poi tutte le altre, che riguardano essenzialmente i diritti della persona (diritto al lavoro, libertà, riconoscimento e tutela della propria dignità, ecc.). Quando ci si sposta sul piano politico e della gestione di una comunità entro la quale si vive, che sia locale, regionale o nazionale, a prevalere dovrebbero essere sempre le priorità oggettive, che invece, nella realtà, finiscono per diventare bersaglio di una soggettività politica e ideologica disarmante.

Il governo italiano, presieduto dalla premier Giorgia Meloni, ci ha ormai abituato a questo rimescolamento di priorità, con il declassamento di ciò che dovrebbe assumere un valore fondamentale o superiore e l’esaltazione di ciò che, al contrario, dovrebbe avere poca o perfino nessuna rilevanza. I totem per eccellenza di questo cortocircuito meloniano sono rappresentati dagli inutili e costosissimi centri per il trattenimento in Albania (sui quali il governo continua a insistere, malgrado le sentenze contrarie e un miliardo di euro buttati via) e il ponte sullo Stretto, fissazione salviniana che sputa addosso alle vere priorità di Sicilia e Calabria, non solo in termini di viabilità interna. Ma il governo di questa destra sovranista e bislacca, intrisa di arroganza e di infantile senso di rivalsa, figlio di un complesso atavico e irrisolto, non ha limiti riguardo alla ricerca fantasiosa di false priorità.

L’ultimo in ordine di tempo a esercitarsi in questa frenesia ideologica è il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Dopo aver annunciato la riforma dei programmi scolastici, con l’introduzione dello studio della Bibbia nella scuola primaria, il ministro ha inaugurato la primavera con una circolare inviata alle scuole italiane, nella quale si vieta l’utilizzo dell’asterisco e dello schwa negli atti ufficiali. “Nelle comunicazioni ufficiali – si legge – è imprescindibile il rispetto delle regole della lingua italiana. L’uso di segni grafici non conformi, come l’asterisco (*) e lo schwa (ə), è in contrasto con le norme linguistiche e rischia di compromettere la chiarezza e l’uniformità della comunicazione istituzionale”. Al di là del dibattito sul tema, sulla diatriba fra necessità di un linguaggio che veicoli uguaglianza e inclusione e il desiderio di mantenere una forma che non ceda spazio a elementi grafici, l’aspetto da sottolineare è uno: la preoccupante ossessione del ministro dell’Istruzione, che lo spinge a elevare una sua battaglia ideologica al grado di priorità.

In un momento nel quale i problemi irrisolti della scuola e degli studenti sono tanti e tangibili, vitali e fondamentali, si pensa dunque a saziare lo stomaco di una destra che ha voglia, come sempre, di lanciarsi in azioni reazionarie, che hanno il linguaggio come primo bersaglio. C’era davvero bisogno di questa circolare? È davvero così disturbante, a destra, l’utilizzo di un linguaggio inclusivo e che eviti discriminazioni? Valditara continua a distrarsi e a distrarre gli elettori con falsi temi, snobbando quelli concreti. Il ministro non ha contezza delle cifre dell’abbandono scolastico, delle fragilità psicologiche sempre più profonde degli studenti, dei fenomeni allarmanti di bullismo e cyberbullismo che toccano principalmente giovani in età scolare, della carenza di insegnanti di sostegno, della scarsa tutela del corpo docenti, della situazione disastrosa dell’edilizia scolastica in Italia?

Dovrebbero essere questi i pensieri fissi, le ossessioni di un ministro che, invece, trascorre le sue giornate ad aprire schermaglie ideologiche contro tutto ciò che è ritenuto, da lui e dalla premier, patrimonio della cultura e della società civile di orientamento progressista. L’ultima, quella certificata da una circolare surreale e risibile, è di una inutilità disarmante, non solo perché non ha alcuna priorità, ma perché non tiene conto della naturale evoluzione della lingua e soprattutto perché è scontato che in un atto formale difficilmente troverebbero spazio questi simboli grafici. E anche qualora ciò accadesse, introdurre un divieto al loro utilizzo resta un pericoloso atto illiberale, autoritario, antistorico. Aggettivi che ben si sposano, però, con la visione oscura di una destra rozza come quella che, al momento, prevale in Italia e, purtroppo, non solo. La continua e ossessiva voglia di cancellare tutto ciò che viene visto erroneamente come vessillo di una parte politica e non come conquista di migliaia di persone che lottano e hanno lottato per affermare un diritto, anche linguistico (e il linguaggio è la prima forma attraverso cui i poteri autoritari si impongono), sta inquinando la normale dinamica democratica.

Il governo Meloni, palesemente incapace di dare risposte alle reali priorità del Paese (ad esempio, la sanità e il diritto alla salute), ma abilissimo nel collezionare pessime figure all’estero, nel lasciar andare criminali ricercati dalla Corte penale internazionale, nel non garantire la sicurezza sulla protezione dei dati, è ferocemente specializzato e impegnato nel restringere o togliere diritti e in una contemporanea, quotidiana battaglia di demolizione culturale di ciò che è la storia della nostra Repubblica. Una Repubblica che, pure, nacque dal nobile gesto della pacificazione, che ha consentito proprio ai residuati e agli eredi della dittatura fascista di continuare a vivere e lavorare in Italia, di esercitare i propri diritti, di candidarsi e perfino di governare.

Qualcosa che, evidentemente, non è bastato a chi non è mai riuscito a voltare pagina, portandosi dietro tutto quel corollario di frustrazioni, di pensiero reazionario, di cattiveria e intolleranza che oggi sono state liberate dal vaso scoperchiato dall’affermazione politica di Giorgia Meloni e della sua maggioranza. Una vittoria elettorale che ha partorito un governo che produce di continuo distrazioni, polemiche e decreti vergogna, conditi da una pericolosa allergia alle istituzioni e alla democrazia parlamentare che, però, anche se a qualcuno dà fastidio, è ancora la forma applicata all’Italia. Un’Italia che meriterebbe certamente di discutere di altre priorità. E soprattutto di affrontarle con coscienza e competenza, eliminando le provocazioni e le crociate macchiate di ideologia e mettendo al primo posto l’interesse collettivo. Come si conviene a una democrazia. Soprattutto a una democrazia nata dall’abbattimento di una dittatura fascista, che non a caso aveva soffocato e oppresso anche il linguaggio.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org