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La Siria non è un gioco

La Siria non è un gioco

Le bombe cadono. Le bombe uccidono ancora. Come avviene ogni giorno in Siria, come accade anche in tutti quei giorni per i quali non ci giungono immagini strazianti. Il mondo dibatte, le potenze coinvolte si lanciano accuse reciproche, si attribuiscono le responsabilità a vicenda. E così tornano altre bombe, attacchi unilaterali, morte, distruzione. Un braccio di ferro, un gioco di equilibri edificato sopra una zona strategica, ridotta a una polveriera dagli interessi internazionali e da un presidente sanguinario, Assad, che qualcuno ha provato a farci digerire per supreme ragioni di lotta a un nemico comune, l’Is. Lo stesso nemico che qualcuno, in un dato momento storico, ha costruito e lasciato libero di espandersi.

La questione siriana, insomma, è molto più profonda della diatriba su Putin e Trump che sta appassionando i cittadini, soprattutto sul web. Nelle ore intercorse, infatti, tra l’attacco chimico contro la città di Khan Sheikhun, nella provincia nord-occidentale di Idlib controllata dai ribelli, e l’azione americana contro la base di Al Shayrat, dalla quale era partito il raid, il web si è scatenato.

Lasciando perdere la solita querelle tra chi è contrario e chi è favorevole alla pubblicazione delle immagini terribili provenienti dalla Siria, il punto più preoccupante, quello che dovrebbe far riflettere molto, è l’improvvisa formazione di schieramenti fra chi è dalla parte di Putin e Assad e chi è da quella di Trump. Non è una cosa che riguarda solo il popolino, lo stesso che ci abitua quotidianamente alle peggiori oscenità linguistiche, morali e concettuali, ma riguarda anche gente che avrebbe i filtri per ragionare, fermarsi, non lasciarsi andare.

Mi riferisco proprio a questi ultimi quando mi chiedo quale sia il senso di schierarsi con questo o quello come fosse in gioco la finale di un talent o una gara clou del campionato di calcio. Quale sia il senso di questa abitudine sempre più diffusa di banalizzare questioni che, non solo sono enormi e complesse, ma soprattutto sono tragiche e chiamano in causa l’orrore e la morte di centinaia di migliaia di persone fagocitate da un conflitto tremendo. Un conflitto dai tratti transnazionali, rispetto a cui concentrarsi su questa o quella singola responsabilità diventa pura speculazione.

Non si può parlare di Siria in questa maniera imbarazzante, con tale superficialità. Siamo davanti ad anni di guerra rispetto a cui la comunità internazionale nel suo insieme è colpevole in vari modi e a vari livelli. L’Onu, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Russia, la Turchia, l’Iran, ma anche chi con la guerra in Siria ha fatto affari: i produttori di armi, gli stessi che hanno riempito di mezzi e sangue altri conflitti, come quello in Yemen nel quale l’industria bellica italiana gioca un ruolo da protagonista e riguardo al quale il silenzio di buona parte dei media e l’indifferenza della stessa comunità internazionale non appaiono casuali. Eppure di massacri, da parte dei sauditi, ne vengono compiuti anche lì, ogni giorno. Ma si sa, l’Arabia Saudita è un alleato strategico e quindi meglio lasciarla fare.

Tornando alla Siria, allora, sarebbe bene evitare di ridurre tutto a tifoseria, a schieramenti, a idiozie da tastiera. Il ragionamento non passa dal web si sa, ma a questo punto viene da chiedersi se siano davvero il web o i social il problema o se invece non siano una buona lente di ingrandimento puntata sulla pochezza culturale della società attuale. Vero che con una tastiera e uno schermo a proteggerli, tutti possono parlare, anche gli imbecilli che un tempo rimuginavano davanti alla tv, sul divano o in una seggiola al bar mentre bevevano un grappino. Ma quando non sono gli imbecilli a scrivere, cosa dobbiamo pensare?

Che siano i social a far uscire il peggio di noi o che siamo noi, intesi come Paese, ad essere così culturalmente e umanamente degradati da poter affrontare un dramma simile e complesso con la disinvoltura dell’avventore di un bar o di una sala da barba? Una risposta non riesco ancora a darmela, perché nutro sempre la speranza che sia solo un momento e che torneremo presto a ragionare, ma soprattutto a renderci conto della tragedia di un popolo che, se in parte è fuggito (e qualcuno qui in Europa li ha fermati con muri e accordi ignobili o vorrebbe rimandarli a casa loro), in maggioranza è bloccato in patria, tra morte, bombe, paura e orrore, mentre i “grandi” giocano a Risiko e l’Onu rimane nuda nella sua sempre più umiliante inutilità.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org

Autore

Massimiliano Perna

Sono un giornalista freelance, mi occupo da molti anni di immigrazione e diritti, ma anche di ambiente e mafia. Scrivere per me significa respirare e prendere posizione. Amo leggere e amo visceralmente la mia Sicilia e le opere di Pippo Fava. Ho un debole per le menti critiche che si coniugano con l'umanità e la semplicità. Disprezzo i razzisti e gli ipocriti e l'inerzia di chi potrebbe fare qualcosa ma non la fa. Sono il fondatore di questo sito, nato nel 2006, che oggi ha anche una web radio nella quale curo una trasmissione di approfondimento. I tempi sono bui e i silenzi troppi. Un megafono, sia esso di ferro, di righe e inchiostro o collegato a un mixer virtuale, può accendere qualche piccola luce. La mia speranza è di riuscire a tenerlo sempre acceso.

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