Di Fentanyl si parla ancora, perché di overdose si muore ancora. È quello che ci dicono le statistiche, prevalentemente quelle che fanno la conta delle dipendenze patologiche nel continente americano – Canada e Stati Uniti –, ma è anche quello che si teme, in chiave prognostica, accada in Europa. Il Fentanyl è un composto chimico utilissimo in campo medico: fino a cento volte più intenso della morfina, fino a cinquanta volte più potente dell’eroina, si tratta di un farmaco utilizzato come anestetico nelle operazioni chirurgiche più lunghe e complesse e, soprattutto, come antidolorifico nelle cure palliative, per i malati oncologici. Ma il suo utilizzo virtuoso – per alleviare le sofferenze dei pazienti – non è l’unico, come spesso accade per i composti sintetici: il mercato clandestino degli oppiacei, infatti, è la nuova frontiera delle dipendenze. Il Fentanyl, però, è molto più letale delle altre droghe sintetiche e degli altri anestetici: sono sufficienti appena 3 milligrammi per rischiare l’overdose.
Inoltre, dato il suo utilizzo in diversi ambiti sanitari, è un composto disponibile in svariati formati: liquido (le classiche fiale da somministrazione per endovena, ma anche colliri e spray nasali) e solido (compresse e pratici cerotti transdermici, che rilasciano gradualmente la sostanza a contatto con la cute). Nel continente americano, la dipendenza da Fentanyl è, ormai, dilagante. In Canada, dove una dose del farmaco costa pochi dollari e dove proliferano diversi laboratori clandestini di produzione della molecola, numerose associazioni di volontariato distribuiscono per le strade il naloxone, un antidoto per i casi di assunzione eccessiva di oppioidi. Nemmeno questa medicina, però, può nulla quando l’effetto del Fentanyl è amplificato dalla metanfetamina o da altri anestetici, per uso umano o animale. Non è raro, inoltre, che il Fentanyl venga utilizzato per tagliare l’eroina, creando pericolosi miscugli, sempre più tossici. Negli Stati Uniti, i numeri dei decessi legati all’abuso di stupefacenti sintetici appaiono allarmanti: sono oltre centomila i casi di overdose nel 2024 e quasi il 70% dei decessi per avvelenamento da farmaci, soprattutto degli infracinquantenni, è legato proprio al Fentanyl.
A fronte di un problema che dovrebbe, innanzitutto, destare preoccupazioni di tipo sociologico, la soluzione prospettata da Trump è, ancora una volta, quella di innalzare muri: non fisici, in questo caso, ma economici, sotto forma di dazi. Trump ha accusato la Cina, ma anche il Messico e il Canada, di contribuire alla diffusione della tossicodipendenza sul suolo americano, favorendo l’ingresso illegale di stupefacenti. Se è vero che, già qualche anno fa, l’allora presidente messicano aveva segnalato il coinvolgimento cinese nel narcotraffico locale, e se è vero che, negli ultimi tempi, anche a fronte delle propagandistiche condanne a morte dei narcotrafficanti cinesi, il commercio asiatico non è più incentrato sul prodotto finito, ma sui prodotti chimici – i cosiddetti precursori, che servono ad assemblarlo e che possono transitare senza restrizioni – è altrettanto vero che la questione ha proporzioni tali da non poter essere risolta con il tanto magnificato aumento dei dazi.
I guadagni, infatti, sono troppo allettanti e la produzione o il reperimento del Fentanyl troppo semplice ed a basso costo perché le narcomafie rimangano ai margini. In una recente inchiesta del periodico “Panorama”, sono state individuate cinque nuove autostrade della droga: si diramano principalmente dall’America Latina – non solo Messico, anche Perù, Argentina, Brasile, Ecuador – ma la gestione dei traffici è rimessa alla criminalità cinese, a quella balcanica e a quella italiana. I nuovi mezzi utilizzati per il trasporto sono le portarinfuse, grandi navi destinate al trasporto di cereali, carbone e minerali, stoccati non in container, ma appunto alla rinfusa e tra i quali è molto facile mimetizzare merce illegale. E se finora le rotte del narcotraffico hanno prediletto le Americhe, il livello di allerta rimane alto anche in Europa, dove l’abuso del Fentanyl potrebbe diffondersi rapidamente. I numeri, nel nostro continente, sono ancora bassi: poco più di un centinaio di decessi totali, dei quali solo 2 – fino ad ora – in Italia, oltre ad una decina di intossicazioni non letali.
Eppure, dal 2018 ad oggi, nel nostro Paese sono stati sequestrati dei cerotti transdermici, oltre cento grammi di polvere, circa un centinaio di dosi tra compresse, scatole e flaconi. Il dato è indicativo: il nuovo oppiaceo sta iniziando ad attirare una clientela fedele e, dato che si tratta di una sostanza che raggiunge immediatamente l’encefalo, diffondendo una sensazione di sedazione e sonnolenza, lo stato di dipendenza è pressoché immediato. Sebbene non siano stati (ancora) individuati laboratori italiani di produzione illegale di Fentanyl, in Veneto, la Corte dei Conti è intervenuta per accertare le ragioni di centinaia di prescrizioni del farmaco da parte di un medico di famiglia. E, in effetti, come ci conferma un medico in servizio presso un ospedale di Roma, da noi contattato, perché i farmaci escano dal circuito legale per immettersi in quello clandestino, è necessario che vi sia, se non un professionista compiacente, un vero e proprio furto.
“In generale – ci spiega il medico – i farmaci, nei reparti di degenza, sono tenuti nell’area infermieristica, alcuni, come gli oppioidi, sono sotto chiave e solo il personale può prelevarli. Quando vengono somministrati ai pazienti cerotti o compresse, gli infermieri trattengono la scatola, fino al suo esaurimento. Le fiale, invece, nel caso in cui non vengano utilizzate interamente, vanno buttate e lo smaltimento avviene nei cosiddetti taglienti, come per tutte le fiale in vetro. A quel punto, i rifiuti vengono gestiti, come altri dell’ospedale, come rifiuti pericolosi”. “Ovviamente – aggiunge – è previsto un controllo per tutti i medicinali che la farmacia ospedaliera invia ai reparti, che tiene il conto di quante dosi vengono somministrate, per cui se, ad esempio, si rompono delle fiale, è sempre necessaria una segnalazione ufficiale”.
Le precauzioni ospedaliere si intrecciano con il piano di prevenzione adottato già da qualche anno nel nostro Paese, che coinvolge, non solo la polizia, ma anche le dogane ed i laboratori tossicologici universitari, in modo che si realizzi un controllo incrociato e si monitori l’ingresso, nel mercato delle dipendenze, di nuove sostanze. I potenziali fruitori del Fentanyl, d’altronde, possono essere i più disparati: trattandosi di una sostanza rilassante, che produce uno stordimento ed una perdita delle percezioni dolorose, è ricercata tanto da adulti stressati, quanto da adolescenti ansiosi. Anzi, nel corso degli ultimi anni, sono piuttosto le adolescenti a fare un uso maggiore, oltre che di alcol e marjuana, proprio del Fentanyl.
È stato stimato che oltre cinquecentomila teenager statunitensi, nel 2023, hanno assunto degli oppioidi: per calmarsi prima di un’interrogazione, per allontanare la depressione, per alleviare lo stress. E l’aspetto veramente inquietante è che, diversamente dalle generazioni precedenti, che sperimentavano le sostanze stupefacenti, come gli alcolici, in gruppo, in un contesto gioviale di interazione sociale, le nuove generazioni le assumono in solitudine, per far fronte alla difficoltà di vivere le sfide quotidiane. Ponendo una domanda silenziosa alla quale siamo, forse, impreparati a rispondere.
Sophie M. -ilmegafono.org
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