Gli acquisti fast fashion nella cultura usa e getta stanno diventando una condanna per il nostro pianeta, causando inquinamento e consumo insostenibile di risorse naturali. Greenpeace suggerisce alcuni validi motivi per cambiare modello e prediligere una moda capace di rispettare l’ambiente e le persone. In tempi come i nostri, caratterizzati da saldi, offerte, incentivi al consumo come il Black Friday, pervade la voglia sfrenata di acquistare vestiti a prezzi molto bassi, facendo anche file interminabili davanti i negozi, per poi però riporli inutilizzati dentro i nostri armadi oppure rovinarli dopo qualche lavaggio perché di scarsa qualità. La moda di oggi, soprattutto quella ultraveloce, non è fatta per durare, ma solo per essere consumata rapidamente e gettata via con altrettanta velocità.
In un’epoca in cui anche i sentimenti diventano usa e getta, è soprattutto l’industria della “moda” quella che trae maggiori benefici da un sistema in cui tutto si brucia e si consuma in fretta. È per tale ragione che Greenpeace, organizzazione non governativa ambientalista e pacifista, fondata nel 1971, ha lanciato l’allarme, suggerendo di acquistare con razionalità e solo ciò di cui abbiamo veramente bisogno, per mettere in atto una vera “rivoluzione” di comportamenti e di costume.
Sul suo sito internet ufficiale, in un articolo a firma di Giuseppe Ungherese, Greenpeace elenca i nove motivi per cui sarebbe meglio smettere di acquistare fast fashion. Scopriamo quali sono.
- La moda è il secondo settore più inquinante al mondo dopo l’industria petrolifera, rilasciando nell’atmosfera ben 1,2 miliardi di tonnellate di CO2.
- In media, gli abiti vengono indossati pochissime volte (solo 7 o 8 volte).
- Ogni secondo, un camion pieno di vestiti viene bruciato o smaltito in discarica (circa 2.625 kg).
- Ogni anno vengono usati circa 70 milioni di barili di petrolio per produrre poliestere (fibra più usata per fabbricare vestiti).
- Il poliestere impiega fino a 200 anni per degradarsi.
- Il poliestere rilascia 5-10 microplastiche nell’ambiente ogni volta che laviamo i nostri vestiti (che finiscono nei mari e risalendo la catena alimentare, anche nei nostri cibi).
- Per produrre 1 kg di cotone servono circa dai 10.000 ai 20.000 litri di acqua.
- La produzione di tessuti è responsabile del 20% di tutto l’inquinamento idrico industriale ogni anno.
- La coltivazione del cotone impiega il 18% dei pesticidi e il 25% del totale degli insetticidi a livello mondiale.
Se tutti prendiamo atto di quanto la situazione sia grave e pericolosa possiamo comprendere che, tutte le volte che scegliamo di non acquistare, aiutiamo a ridurre sprechi, inquinamento e consumo di risorse naturali. Optare per brand sostenibili, privilegiare materiali durevoli, ridurre gli acquisti possono costituire dei passi concreti per costruire una moda rispettosa dell’ambiente e delle persone. Sicuramente non sarà facile, perché siamo troppo abituati allo spreco, siamo troppo mitragliati dalla pubblicità, siamo alienati dalla voglia di acquistare a basso costo pensando sia un affare, ma questa sfida riguarda tutti e mette in campo la responsabilità di ognuno di noi, anche nella prospettiva futura di educare le nuove generazioni.
Si tratta della salute del pianeta e di quella di ognuno di noi. Come cantava De André, “anche se ci crediamo assolti, siamo per sempre coinvolti”, perché abitiamo lo stesso pianeta e ciascuno può fare il suo, anche contro le politiche scellerate dei governi e delle multinazionali della moda, che spesso sfruttano la povera gente e favoriscono il lavoro minorile. E se la moda può essere una forma di espressione della nostra persona, del nostro modo di sentire, del nostro gusto, dobbiamo far sì che sia una nostra alleata e non una nostra nemica.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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