Le elezioni americane, come è noto, sono state vinte da Donald Trump, neopresidente degli Stati Uniti d’America. Ma riavvolgiamo per un attimo il nastro della storia e torniamo a Washington, il 6 gennaio 2021. Nel Paese che, con grande superficialità, in molti considerano la più grande democrazia occidentale, si assiste al surreale assalto al Campidoglio degli Stati Uniti, la sede del Congresso americano. Un vero e proprio tentativo di insurrezione, con cui i sostenitori dell’allora presidente uscente degli USA, Donald Trump, contestavano e rifiutavano il risultato delle elezioni presidenziali del 2020. Qualcosa a metà strada fra un tentativo di colpo di Stato e un film degno dei peggiori western a stelle e strisce. Immagini che tutti noi abbiamo visto e che hanno fatto il giro del mondo. Quel giorno tutti, o quasi tutti, pensavamo che l’America avesse chiuso i conti con il presidente che aveva riportato un Paese intero ad un passato razzista e segregazionista.
Qualcuno ha dimenticato l’omicidio di George Floyd? Era il 25 maggio 2020, la polizia di Minneapolis arrestò Floyd, che per nove minuti fu tenuto immobilizzato con un ginocchio sul collo. Il ginocchio era quello dell’agente Derek Chauvin, in seguito condannato a 22 anni di carcere per omicidio colposo. Quel giorno fu solo il culmine della lunga serie di violenze e abusi di cui la polizia americana si rese protagonista in quegli anni. Sono passati quasi quattro anni da quel 6 gennaio, Donald Trump è stato oggetto di procedimenti giudiziari di ogni genere ma non ha mai smesso di dire che sarebbe tornato alla Casa Bianca. La sua immagine è scritta nella storia, ma per i suoi sostenitori lui era e rimane un eroe. Nel perverso gioco di potere, un affare dove i soldi e le lobby politiche-finanziarie determinano tutto e dove la democrazia è solo una parola vuota nelle tasche di chi decide come deve andare il mondo, gli USA scelgono ancora Donald Trump, una seconda volta.
Una scelta difficile da capire in apparenza, ma che in realtà è coerente con la storia stessa degli Stati Uniti. Una storia che, comunque la si guardi, racconta di un potere che da sempre rispecchia la vecchia strada, quella che appoggia una mano sulla Bibbia e l’altra sulla pistola. Il tempo e le occasioni per cambiare strada ci sono state, ma quel tempo è sempre stato sprecato e consegnato nelle mani di persone sbagliate, sopravvalutate oltremisura. Diventa quasi imbarazzante capire se queste elezioni le abbia vinte Trump o le abbia perse quel Partito Democratico che ha letteralmente sprecato quatto anni di presidenza: troppe ambiguità sia a livello nazionale che in politica estera, figlie della mancanza del coraggio politico e del tentativo finale, quasi patetico, di coccolare e voler convincere le classi medie e al tempo stesso anche i ceti più popolari.
La destra fascista, italiana ed europea, applaude al ritorno di Trump. Esulta insieme a Orbán, Erdoğan e Benjamin Netanyahu. Ma chi ha vinto veramente questa partita? Il vecchio miliardario in prima fila sul palco oppure il giovane miliardario in ascesa? Perché accanto al presidente, che guarda all’America del suprematismo e promette di alzare nuovi muri e di cambiare i “confini”, c’è Elon Musk, e la sua presenza è molto più di un’ombra pericolosa. È una minaccia che molti fingono di non vedere. Il quadro politico che le ultime elezioni americane hanno disegnato apre uno scenario inquietante che non riguarda solo gli USA e l’Occidente, ma coinvolge tutto il “Sud Globale”: Africa, Asia, America Latina. Il mondo conosce da tempo le opinioni politiche, economiche e sociali di Donald Trump, ma conosce ormai molto bene anche le ambizioni di Elon Musk: nessuno dei due le ha mai nascoste o mascherate. Ma quella destra estrema che in Europa oggi sorride, ubriaca di nera felicità, molto presto dovrà rendere conto ai propri Paesi delle ricadute che le politiche di Trump comporteranno anche sull’Europa.
Ciò che più di ogni altra cosa dovrebbe preoccupare sono gli effetti sociali che la nuova coppia regina d’America saprà alimentare: Donald Trump, che se non eletto sarebbe rimasto invischiato in una ragnatela di inchieste giudiziarie, e un miliardario megalomane e privo di scrupoli. In comune fra i due, il dichiarato fastidio nei confronti della democrazia. L’inquilino della Casa Bianca non ha mai nascosto di odiare i migranti, la sua promessa di alzare muri e cambiare i “confini” è la missione che porterà fino in fondo, perché è quella promessa che gli ha garantito il voto della destra più estrema e razzista del Paese (e in America quella destra estrema è forte e oggi è probabilmente la maggioranza, assoluta e schiacciante). Nel corso della sua campagna elettorale, Trump ha affermato con forza che procederà alla più grande deportazione di migranti: “Operazione Aurora”, l’ha battezzata così proprio ad Aurora, in Colorado, affermando testualmente che “i voli dei migranti termineranno e l’app di Kamala per gli immigrati clandestini verrà chiusa immediatamente entro 24 ore”. “Quello stesso giorno – ha proseguito Trump – inizieremo a trovare e deportare ogni singolo membro di una gang di immigrati clandestini dal nostro Paese. Li faremo uscire, sarà un’importante impresa nazionale”.
Il disprezzo e l’odio verso i migranti sono la sua ossessione, da sempre. Sorprende, allora, il consenso ottenuto da una gran parte della comunità ispanica. Non sorprende, invece, il suo rapporto con i movimenti razzisti e fascisti del suprematismo bianco: nel primo dibattito presidenziale, contro l’allora sfidante Joe Biden, si rifiutò di condannare quei gruppi e in particolare il movimento dei “Proud Boys”, il più attivo della nuova estrema destra americana. Diversa ma altrettanto grave la sua posizione sulla politica estera. Ne ha parlato pochissimo, ha ripetuto all’infinito il suo impegno per portare la pace nel mondo, ma non ha mai spiegato in che modo. Sul Medio Oriente e sul genocidio di Gaza non ha speso alcuna parola. Ma se la vittoria di Trump è stata accolta con entusiasmo da Israele ci sarà un motivo, giusto? Le congratulazioni del primo ministro israeliano Netanyahu hanno superato il significato del formale gesto diplomatico, perché Netanyahu sa che in lui troverà un alleato più affidabile rispetto a Biden, e questo darà mano libera ad Israele nei territori palestinesi e in Libano, e probabilmente anche in Iran.
In quanto ad Elon Musk, diventa difficile pensare che dopo aver finanziato la campagna elettorale di Donald Trump con 75 milioni di dollari – come risulta dai dati ufficiali comunicati alla Federal Election Commission – non chieda nulla in cambio. Il suo ego e le sue ambizioni non si accontenteranno certo di un ruolo marginale. Fra i sostenitori di Trump, oltre ad Elon Musk, si distingue il vasto mondo di quei “tycoon” che guardano al presidente non solo per le affinità ideologiche ma per le loro opportunità, e alcuni nomi sono significativi: Peter Thiel, il co-fondatore di PayPal; Rupert Murdoch, e il nocciolo forte degli investitori di Facebook, OpenAi e Airbnb. Questi nomi e questo mondo, accendono i riflettori su un aspetto fondamentale della democrazia: il controllo totale dell’informazione. Averne il controllo significa influenzare e manipolare opinioni, censurare o dare risalto a proprio piacimento, creare notizie o nasconderle. Significa manovrare le coscienze, non solo individuali, ma soprattutto collettive.
La “privatizzazione” del mondo è in atto da tempo e oggi subisce un’ulteriore forzatura sul controllo delle persone avvalendosi di tecnologie di cui Elon Musk è il padrone assoluto. Oggi questo signore è entrato ufficialmente nello staff di governo del presidente: l’uomo più ricco del mondo sarà a capo del Dipartimento per l’efficienza del governo. Ha già mosso i primi passi, entrando a gamba tesa nei confronti dei giudici italiani sugli accordi con l’Albania e sulle ONG, definite una “banda di criminali”. Lo ha fatto con la consueta arroganza e il solito disprezzo. Nel frattempo il presidente ha ufficializzato le prime nomine all’interno della sua squadra di governo, nomine che indicano chiaramente quale sarà la strada: Pete Hegseth, ex maggiore dell’esercito, veterano di guerra a Guantanamo, in Iraq e in Afghanistan e oggi conduttore di Fox News, alla Difesa; Thomas Homan – già responsabile delle politiche migratorie nella precedente amministrazione Trump – capo delle politiche di frontiera e presentato come il “Responsabile dell’Espulsione degli Immigrati Illegali verso il Paese d’Origine”.
L’oligarchia economica e politica di queste forze quali conseguenze avrà nel futuro globale? La destra estrema che in Europa esulta, oggi, come reagirà domani? Quando Trump e Musk avranno soddisfatto i loro grandi interessi, i “sovranisti” del vecchio continente continueranno a stare a guardare e ad applaudire seguendo l’onda ed emulando le politiche economiche e razziste? Andando per questa strada, l’Europa rischierà di essere sempre più una colonia americana, la cinquantunesima stella sulla bandiera a stelle e strisce.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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